Le migliori serie TV del 2019 (secondo noi)

Quali sono state le serie tv che ci sono piaciute di più nel 2019? Ecco una nostra lista che ha il pregio secondo noi di avere un occhio magari un po’ più personale di tante altre e il difetto di non avere una redazione di più persone che abbia potuto guardare tutto quello che circola in tv, quindi qualcosa mancherà di sicuro.

Speriamo però che arrivi a voi lettori un qualche suggerimento utile su uno show che magari vi è sfuggito.

La lista non è assolutamente in ordine di gradimento, quindi non è una classifica.

il manifesto è tutto un programma 😉

WATCHMEN (stagione 1)

Alan Moore ha da tempo abiurato gli adattamenti delle sue opere, adducendo ragioni artistiche, economiche e, in fin dei conti, politiche del tutto condivisibili. La DC lo ha praticamente dispossessato delle sue creature più celebri e ci ha fatto quel che voleva.

Ma come dargli torto? Il film omonimo di Zach Snyder del 2009 era ovviamente un’ombra imbarazzante della Graphic Novel del bardo di Northampton che, forse dovremmo ricordarlo, è stata il primo fumetto ad entrare nella lista delle opere letterarie più importanti in lingua inglese del New York Times ed a vincere un premio Hugo.

Però non ce ne vogliano Moore e Gibson, a noi questa prima stagione di Watchmen è piaciuta e parecchio, tanto da ritenere che sia la migliore serie tv su supereroi in circolazione. La trama è un puzzle che si compie inesorabilmente puntata dopo puntata, per arrivare ad un finale perfetto in cui tutti i pezzi si ricompongono. Bravo Damon Lindelof a finalmente dare una trama compiuta e sensata ad un suo show, e smentire le critiche di sceneggiatore che mette tanta roba al fuoco per poi non saper concludere (come perdonargli il finale di Lost?).

Altri punti di forza sono il cast: c’è Regina King fresca di Grammy per Seven Seconds; colonna sonora (Atticus Ross e Trent Reznor); e poi la sceneggiatura: l’episodio This Extraordinary Being, interamente girato in bianco e nero anche contro il volere della produzione, ci regala una delle Origin Story di super eroi più belle che siano mai state descritte. Da vedere nella speranza che continui così.

Toby Jones, ah ecco chi è!

Don’t Forget the Driver

Miniserie BBC in sei puntate passata un po’ sotto il radar che però è una bella riflessione sulla solitudine e sull’immigrazione nell’Inghilterra moderna che ha il pregio di parlare di temi attuali riuscendo a non citare mai la Brexit. Anzi, la cittadina di Bognor, sulla costa meridionale inglese, sembra essere intrappolata in una specie di atemporalità e nostalgia da cui i personaggi non riescono ad uscire (vedi ad esempio che musica ascoltano i protagonisti).

Barry, interpretato dal solidissimo Toby Jones, è un padre single autista di autobus turistici incapace di esprimere i suoi sentimenti e le sue aspirazioni, l’incontro con un migrante morto e uno vivo lo costringeranno ad uscire da questo guscio.

Viene classificata come commedia ma è una delle commedie più tristi che abbia mai visto, nella migliore tradizione della tv inglese. Non mancano tuttavia momenti alla The Office (UK) e Monty Python. Insomma una sorpresa inaspettata ed una serie altamente sottovalutata.

Teenagers disadattati

Looking for Alaska

Looking for Alaska è un uno strano esperimento che potremmo riassumere così: teen drama incontra un film indie.

La serie proposta da Hulu si apre con il classico ragazzetto  bello ma imbranato, con la strana fissazione delle ultime parole di personaggi famosi, che viene spedito dai genitori ad un’esclusiva scuola in mezzo alla foresta, un incrocio tra college e campeggio, qui viene subito a contatto con le classiche rivalità fra gruppi: ci sono i nerd poveri con borsa di studio che odiano i figli di papà ricchi atleti e stronzi che stanno con le cheerleader e viceversa. Fin qui niente di nuovo, scherzi reciproci, innamoramenti, chi va al ballo con chi blah blah, se non fosse che certe riprese controluce e certi tempi lenti non quadrano e man mano la storia si trasforma in qualcos’altro che non  ti aspetti diventando una riflessione sulla perdita e la crescita.

Unico punto debole. I due protagonisti che più che tipi da gruppo dei nerd appassionati di letteratura sono i classici modelli da copertina e delle volte, almeno agli occhi di chi guarda, risultano poco credibili.

The Deuce (terza stagione)

Francamente non capiamo come è possibile che The Deuce non sia un fenomeno di successo popolare alla Breaking Bad o simili, o meglio forse lo capiamo. Parlare di pornografia, droga e AIDS non è esattamente un buon viatico per le famiglie nostrane e americane. Ma The Deuce per la terza ed ultima stagione ci regala la conclusione di un affresco bellissimo della fine di un’era, quasi un’epica di coloro che, a New York a cavallo fra anni ‘70 e ‘80, vivevano per scelta o necessità ai margini della società in quel microuniverso chiamato The Deuce, nell’attuale midtown di Manhattan che oggi è il regno dei turisti giapponesi e che all’epoca era una zona  losca e pericolosa, con i locali a luci rosse, la prostituzione i bar aperti tutta la notte. La terza stagione chiude le storie dei personaggi principali e la fine di quella New York che forse non era un posto ideale ma era un posto vero fatto da persone vere. Via quindi i vecchi cumpà mafiosi italiani da Times Square, via le case malsane, via i malati di AIDS e i locali gay, via le prostitute affinché il progresso avanzi, affinché i soldi veri facciano piazza pulita. Niente più degrado e criminalità, che però viene semplicemente spostata altrove, ma un po’ di malinconia per tutti. Grande sceneggiatura di George Pelecanus (The Wire), per gli amanti di Scorsese e co. Da non perdere.

Masturbarsi fa diventare ciechi

Sex Education (Stagione 1)

Otis, un ragazzo con la madre che fa la consulente sessuale e che è talmente imbranato e complessato tanto da essere incapace a masturbarsi, incontra una ragazza a scuola, Maeve, che ha bisogno di fare soldi. Lei ha un’idea: vista la sua esperienza indiretta con la madre e la sua evidente sensibilità e intelligenza Otis può fare consulenze sentimentali/sessuali ai compagni di scuola. Funziona.

Tutto qui, niente di speciale, ma la serie è ben scritta, i personaggi mai banali, neanche quelli secondari,  l’ambiente scolastico risulta più naturale e realistico di tanti che ci vengono proposti sul piccolo e grande schermo, infine la chimica fra i due protagonisti, con la classica relazione tipo “si metteranno insieme?”  è ben equilibrata e funziona. Meno surreale di “The End of the Fuckin’ World” pur essendo una serie teen “alternativa” si può seguire anche senza essere fan di Wes Anderson.

Grazie a questa serie inoltre capirete che Gillian Anderson è molto meglio  come attrice comica, che per me è stata una rivelazione non da poco. Netflix ha confermato una seconda stagione.

Unbelievable

Questa serie Netflix ha fatto parlare molto di sé e a buona ragione, ispirata ad eventi realmente accaduti e riportati alla luce dal bellissimo articolo “An Unbelievable Story of Rape“, scritto da T. Christian Miller and Ken Armstrong, è stata creata e sceneggiata da  Susannah Grant, Ayelet Waldman e il grande romanziere Michael Chabon (il cui Le Avventure di Kavalier e Clay si vocifera potrebbe diventare presto una serie tv).

I fatti sono ispirati ad una serie di stupri avvenuti fra gli stati Washington e Colorado fra il 2008 e il 2011 e in particolare si concentrano su una delle prime vittime, interpretata alla grande da Kaitlyn Dever e alla successiva indagine svolta con poca attenzione e professionalità che si conclude con la vittima, Marie Adler, che ritira la denuncia. Marie è una ragazza che viene da una serie di esperienze traumatiche e la sua denuncia viene considerata inaffidabile, il pregiudizio, la scarsa attenzione dimostrata per questo tipo di crimine portano in pratica la Polizia a sottovalutare il caso. Ma gli eventi si svolgono in parallelo e descrivono insieme al caso di Marie Adler anche  l’indagine che si svolge anni dopo e che, grazie all’intervento di due detective più attente e sensibili, o semplicemente migliori dei colleghi che le hanno precedute, porteranno all’arresto del pericoloso stupratore seriale. Migliore True Crime dell’anno insieme a:

I am the Night

Miniserie in sei puntate ispirata al libro di memorie One Day She’ll Darken, di Fauna Hodel.

Hodel è la figlia naturale di George Hodel, il ginecologo/artista/eccentrico il cui nome più volte ritorna nelle indagini legate ad uno degli omicidi più famigerati della storia americana, quello della Dalia Nera.

La giovane Fauna (India Eisley) è una ragazza bianca che però crede di essere nera e cresce inconsapevole della sua vera identità e di chi siano i suoi veri genitori nell’America degli anni ’50 provinciale e razzista, finché un giorno scopre di essere in realtà figlia del misterioso jetsetter californiano George Hodel, ricco e chiacchierato mecenate artista che si circonda di una bizzarra e disturbante corte dei miracoli e coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Elisabeth Short, ribattezzata dai tabloid dell’epoca la Dalia Nera. Respinte le sue richieste di chiarezza da parte dell’interessato, Fauna comincia ad indagare sul suo passato aiutata dal giornalista Jay Singletary, interpretato da Chris Pine, ma man mano che si avvicina alla verità si mette sempre più in pericolo.

Toni da hard boiled e inevitabili riferimenti a Ellroy,  festini eccentrici, incesti e assassini perversi nell’ombra. Come perderselo?

The mandalor… ah no.
The Mandalor… ah neppure
The Mandalorian!

The Mandalorian

The Mandalorian è una serie in 8 puntate ambientata nell’universo di Guerre Stellari e, per chi scrive, è la cosa migliore del franchising  uscita negli ultimi anni. La dilatazione dei tempi e la possibilità di lasciar respirare l’arco narrativo permettono a questa saga stellare di uscire dal solito luogo comune robot- esplosioni – mostriciattoli, con toni da videogioco anni ‘80 tipico dei film di Lucas, mescolando bene azione, spettacolo e caratterizzazione dei personaggi ed è inoltre girata con una qualità quasi cinematografica. Ambientata qualche anno dopo la fine della trilogia originaria The Mandalorian altro non è che un western vecchia maniera con il cowboy eroe solitario di frontiera, che fa il cacciatore di taglie, ma che sulla sua strada incontrerà un piccolo Yoda e si scontrerà con nostalgici contro-rivoluzionari che tramano affinché la Repubblica, che non sembra particolarmente entusiasmante, cada. Da non perdere anche se non amate Guerre Stellari.

Gentleman Jack

L’eccellente Sally Wainwright, dopo il bellissimo Happy Valley, torna nel nativo Yorkshire per raccontarci però una storia vittoriana ispirata ai diari di Anne Lister, donna di famiglia benestante che, in un periodo in cui il massimo del femminismo è Orgoglio e Pregiudizio (che è già qualcosa), invece di aspettare il principe azzurro si dà da fare per gestire le miniere di famiglia e contrastare i prepotenti di turno senza mai farsi mettere i piedi in testa destreggiandosi intanto anche nella sua vita sentimentale e facendo strage di cuori, di altre donne. Anne Lister infatti non nasconde le sue inclinazioni omosessuali che non diventano scandalo aperto nella sua cerchia sociale solo perché il suo essere una personalità formidabile la pone ambiguamente al di sopra delle convenzioni accettate dalla rigida campagna inglese del XIX secolo, anche se non sempre tutto fila liscio.

Il risultato è un brillante feuilleton avventuroso sentimentale che ricorda molto Poldark ma che è recitato molto meglio e si prende meno sul serio.

Da menzionare poi velocemente:

What We Do in the Shadows: Il brillante film parodia omonimo di Taika Waititi del 2014 è stato adattato a serie tv. Un mockumentary horror comedy con momenti esilaranti.

Brooklyn Nine-Nine: provateci voi a fare una sitcom che funziona per 10 stagioni.

Blue Bloods: il repubblicano che è in me pensa che sia il migliore cop-show in circolazione.

The Virtues: non è This is England, ma è sempre Shane Meadows ed il solito grande Stephen Graham.

The Spy: per chi attende con ansia Homeland, una spy story ispirata ad una vicenda vera, in cui Sacha Baron Cohen dimostra di essere un grandissimo attore.

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