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Le migliori serie TV del 2019 (secondo noi)

Quali sono state le serie tv che ci sono piaciute di più nel 2019? Ecco una nostra lista che ha il pregio secondo noi di avere un occhio magari un po’ più personale di tante altre e il difetto di non avere una redazione di più persone che abbia potuto guardare tutto quello che circola in tv, quindi qualcosa mancherà di sicuro.

Speriamo però che arrivi a voi lettori un qualche suggerimento utile su uno show che magari vi è sfuggito.

La lista non è assolutamente in ordine di gradimento, quindi non è una classifica.

il manifesto è tutto un programma 😉

WATCHMEN (stagione 1)

Alan Moore ha da tempo abiurato gli adattamenti delle sue opere, adducendo ragioni artistiche, economiche e, in fin dei conti, politiche del tutto condivisibili. La DC lo ha praticamente dispossessato delle sue creature più celebri e ci ha fatto quel che voleva.

Ma come dargli torto? Il film omonimo di Zach Snyder del 2009 era ovviamente un’ombra imbarazzante della Graphic Novel del bardo di Northampton che, forse dovremmo ricordarlo, è stata il primo fumetto ad entrare nella lista delle opere letterarie più importanti in lingua inglese del New York Times ed a vincere un premio Hugo.

Però non ce ne vogliano Moore e Gibson, a noi questa prima stagione di Watchmen è piaciuta e parecchio, tanto da ritenere che sia la migliore serie tv su supereroi in circolazione. La trama è un puzzle che si compie inesorabilmente puntata dopo puntata, per arrivare ad un finale perfetto in cui tutti i pezzi si ricompongono. Bravo Damon Lindelof a finalmente dare una trama compiuta e sensata ad un suo show, e smentire le critiche di sceneggiatore che mette tanta roba al fuoco per poi non saper concludere (come perdonargli il finale di Lost?).

Altri punti di forza sono il cast: c’è Regina King fresca di Grammy per Seven Seconds; colonna sonora (Atticus Ross e Trent Reznor); e poi la sceneggiatura: l’episodio This Extraordinary Being, interamente girato in bianco e nero anche contro il volere della produzione, ci regala una delle Origin Story di super eroi più belle che siano mai state descritte. Da vedere nella speranza che continui così.

Toby Jones, ah ecco chi è!

Don’t Forget the Driver

Miniserie BBC in sei puntate passata un po’ sotto il radar che però è una bella riflessione sulla solitudine e sull’immigrazione nell’Inghilterra moderna che ha il pregio di parlare di temi attuali riuscendo a non citare mai la Brexit. Anzi, la cittadina di Bognor, sulla costa meridionale inglese, sembra essere intrappolata in una specie di atemporalità e nostalgia da cui i personaggi non riescono ad uscire (vedi ad esempio che musica ascoltano i protagonisti).

Barry, interpretato dal solidissimo Toby Jones, è un padre single autista di autobus turistici incapace di esprimere i suoi sentimenti e le sue aspirazioni, l’incontro con un migrante morto e uno vivo lo costringeranno ad uscire da questo guscio.

Viene classificata come commedia ma è una delle commedie più tristi che abbia mai visto, nella migliore tradizione della tv inglese. Non mancano tuttavia momenti alla The Office (UK) e Monty Python. Insomma una sorpresa inaspettata ed una serie altamente sottovalutata.

Teenagers disadattati

Looking for Alaska

Looking for Alaska è un uno strano esperimento che potremmo riassumere così: teen drama incontra un film indie.

La serie proposta da Hulu si apre con il classico ragazzetto  bello ma imbranato, con la strana fissazione delle ultime parole di personaggi famosi, che viene spedito dai genitori ad un’esclusiva scuola in mezzo alla foresta, un incrocio tra college e campeggio, qui viene subito a contatto con le classiche rivalità fra gruppi: ci sono i nerd poveri con borsa di studio che odiano i figli di papà ricchi atleti e stronzi che stanno con le cheerleader e viceversa. Fin qui niente di nuovo, scherzi reciproci, innamoramenti, chi va al ballo con chi blah blah, se non fosse che certe riprese controluce e certi tempi lenti non quadrano e man mano la storia si trasforma in qualcos’altro che non  ti aspetti diventando una riflessione sulla perdita e la crescita.

Unico punto debole. I due protagonisti che più che tipi da gruppo dei nerd appassionati di letteratura sono i classici modelli da copertina e delle volte, almeno agli occhi di chi guarda, risultano poco credibili.

The Deuce (terza stagione)

Francamente non capiamo come è possibile che The Deuce non sia un fenomeno di successo popolare alla Breaking Bad o simili, o meglio forse lo capiamo. Parlare di pornografia, droga e AIDS non è esattamente un buon viatico per le famiglie nostrane e americane. Ma The Deuce per la terza ed ultima stagione ci regala la conclusione di un affresco bellissimo della fine di un’era, quasi un’epica di coloro che, a New York a cavallo fra anni ‘70 e ‘80, vivevano per scelta o necessità ai margini della società in quel microuniverso chiamato The Deuce, nell’attuale midtown di Manhattan che oggi è il regno dei turisti giapponesi e che all’epoca era una zona  losca e pericolosa, con i locali a luci rosse, la prostituzione i bar aperti tutta la notte. La terza stagione chiude le storie dei personaggi principali e la fine di quella New York che forse non era un posto ideale ma era un posto vero fatto da persone vere. Via quindi i vecchi cumpà mafiosi italiani da Times Square, via le case malsane, via i malati di AIDS e i locali gay, via le prostitute affinché il progresso avanzi, affinché i soldi veri facciano piazza pulita. Niente più degrado e criminalità, che però viene semplicemente spostata altrove, ma un po’ di malinconia per tutti. Grande sceneggiatura di George Pelecanus (The Wire), per gli amanti di Scorsese e co. Da non perdere.

Masturbarsi fa diventare ciechi

Sex Education (Stagione 1)

Otis, un ragazzo con la madre che fa la consulente sessuale e che è talmente imbranato e complessato tanto da essere incapace a masturbarsi, incontra una ragazza a scuola, Maeve, che ha bisogno di fare soldi. Lei ha un’idea: vista la sua esperienza indiretta con la madre e la sua evidente sensibilità e intelligenza Otis può fare consulenze sentimentali/sessuali ai compagni di scuola. Funziona.

Tutto qui, niente di speciale, ma la serie è ben scritta, i personaggi mai banali, neanche quelli secondari,  l’ambiente scolastico risulta più naturale e realistico di tanti che ci vengono proposti sul piccolo e grande schermo, infine la chimica fra i due protagonisti, con la classica relazione tipo “si metteranno insieme?”  è ben equilibrata e funziona. Meno surreale di “The End of the Fuckin’ World” pur essendo una serie teen “alternativa” si può seguire anche senza essere fan di Wes Anderson.

Grazie a questa serie inoltre capirete che Gillian Anderson è molto meglio  come attrice comica, che per me è stata una rivelazione non da poco. Netflix ha confermato una seconda stagione.

Unbelievable

Questa serie Netflix ha fatto parlare molto di sé e a buona ragione, ispirata ad eventi realmente accaduti e riportati alla luce dal bellissimo articolo “An Unbelievable Story of Rape“, scritto da T. Christian Miller and Ken Armstrong, è stata creata e sceneggiata da  Susannah Grant, Ayelet Waldman e il grande romanziere Michael Chabon (il cui Le Avventure di Kavalier e Clay si vocifera potrebbe diventare presto una serie tv).

I fatti sono ispirati ad una serie di stupri avvenuti fra gli stati Washington e Colorado fra il 2008 e il 2011 e in particolare si concentrano su una delle prime vittime, interpretata alla grande da Kaitlyn Dever e alla successiva indagine svolta con poca attenzione e professionalità che si conclude con la vittima, Marie Adler, che ritira la denuncia. Marie è una ragazza che viene da una serie di esperienze traumatiche e la sua denuncia viene considerata inaffidabile, il pregiudizio, la scarsa attenzione dimostrata per questo tipo di crimine portano in pratica la Polizia a sottovalutare il caso. Ma gli eventi si svolgono in parallelo e descrivono insieme al caso di Marie Adler anche  l’indagine che si svolge anni dopo e che, grazie all’intervento di due detective più attente e sensibili, o semplicemente migliori dei colleghi che le hanno precedute, porteranno all’arresto del pericoloso stupratore seriale. Migliore True Crime dell’anno insieme a:

I am the Night

Miniserie in sei puntate ispirata al libro di memorie One Day She’ll Darken, di Fauna Hodel.

Hodel è la figlia naturale di George Hodel, il ginecologo/artista/eccentrico il cui nome più volte ritorna nelle indagini legate ad uno degli omicidi più famigerati della storia americana, quello della Dalia Nera.

La giovane Fauna (India Eisley) è una ragazza bianca che però crede di essere nera e cresce inconsapevole della sua vera identità e di chi siano i suoi veri genitori nell’America degli anni ’50 provinciale e razzista, finché un giorno scopre di essere in realtà figlia del misterioso jetsetter californiano George Hodel, ricco e chiacchierato mecenate artista che si circonda di una bizzarra e disturbante corte dei miracoli e coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Elisabeth Short, ribattezzata dai tabloid dell’epoca la Dalia Nera. Respinte le sue richieste di chiarezza da parte dell’interessato, Fauna comincia ad indagare sul suo passato aiutata dal giornalista Jay Singletary, interpretato da Chris Pine, ma man mano che si avvicina alla verità si mette sempre più in pericolo.

Toni da hard boiled e inevitabili riferimenti a Ellroy,  festini eccentrici, incesti e assassini perversi nell’ombra. Come perderselo?

The mandalor… ah no.
The Mandalor… ah neppure
The Mandalorian!

The Mandalorian

The Mandalorian è una serie in 8 puntate ambientata nell’universo di Guerre Stellari e, per chi scrive, è la cosa migliore del franchising  uscita negli ultimi anni. La dilatazione dei tempi e la possibilità di lasciar respirare l’arco narrativo permettono a questa saga stellare di uscire dal solito luogo comune robot- esplosioni – mostriciattoli, con toni da videogioco anni ‘80 tipico dei film di Lucas, mescolando bene azione, spettacolo e caratterizzazione dei personaggi ed è inoltre girata con una qualità quasi cinematografica. Ambientata qualche anno dopo la fine della trilogia originaria The Mandalorian altro non è che un western vecchia maniera con il cowboy eroe solitario di frontiera, che fa il cacciatore di taglie, ma che sulla sua strada incontrerà un piccolo Yoda e si scontrerà con nostalgici contro-rivoluzionari che tramano affinché la Repubblica, che non sembra particolarmente entusiasmante, cada. Da non perdere anche se non amate Guerre Stellari.

Gentleman Jack

L’eccellente Sally Wainwright, dopo il bellissimo Happy Valley, torna nel nativo Yorkshire per raccontarci però una storia vittoriana ispirata ai diari di Anne Lister, donna di famiglia benestante che, in un periodo in cui il massimo del femminismo è Orgoglio e Pregiudizio (che è già qualcosa), invece di aspettare il principe azzurro si dà da fare per gestire le miniere di famiglia e contrastare i prepotenti di turno senza mai farsi mettere i piedi in testa destreggiandosi intanto anche nella sua vita sentimentale e facendo strage di cuori, di altre donne. Anne Lister infatti non nasconde le sue inclinazioni omosessuali che non diventano scandalo aperto nella sua cerchia sociale solo perché il suo essere una personalità formidabile la pone ambiguamente al di sopra delle convenzioni accettate dalla rigida campagna inglese del XIX secolo, anche se non sempre tutto fila liscio.

Il risultato è un brillante feuilleton avventuroso sentimentale che ricorda molto Poldark ma che è recitato molto meglio e si prende meno sul serio.

Da menzionare poi velocemente:

What We Do in the Shadows: Il brillante film parodia omonimo di Taika Waititi del 2014 è stato adattato a serie tv. Un mockumentary horror comedy con momenti esilaranti.

Brooklyn Nine-Nine: provateci voi a fare una sitcom che funziona per 10 stagioni.

Blue Bloods: il repubblicano che è in me pensa che sia il migliore cop-show in circolazione.

The Virtues: non è This is England, ma è sempre Shane Meadows ed il solito grande Stephen Graham.

The Spy: per chi attende con ansia Homeland, una spy story ispirata ad una vicenda vera, in cui Sacha Baron Cohen dimostra di essere un grandissimo attore.

Le migliori serie tv del 2018

E’ venuto quel momento dell’anno…

quello in cui si tirano le somme del mondo delle serie tv e si fanno le listone. Il web ne è pieno e senz’altro ce ne saranno molte e molto più autorevoli di questa.

Però se cercate un punto di vista un po’ originale e puramente basato sul gusto di chi scrive e magari sperate di scoprire una qualche gemma nascosta che vi era sfuggita, questo è il post(o) per voi. Quindi qui non ritroverete le varie Better Call Saul, This is us, Disenchantment etc. che popolano tutti i post natalizi, ma una scelta un po’ più particolare e personale.

Le serie 10 serie tv che abbiamo selezionato sono a parere nostro tutte ottime e l’ordine è puramente  numerico e non rappresenta una classifica:

The Little Drummer Girl (Florence Pugh)

The Little Drummer Girl (BBC One)

Da un capolavoro del più grande scrittori di libri di spionaggio, John Le Carré, una miniserie in 6 puntate  diretta dal regista cult coreano ParK Chan-Wook (Old Boy, Lady Vengeance). Europa fine anni ’70,  Charmian Ross è un’attrice del giro dei piccoli teatri, avendo simpatie radicali pro-palestina e una rabbia profonda inespressa, viene contattata da un gruppo del controspionaggio israeliano per infiltrarsi come ex amante del fratello di un elusivo e mitico capo della resistenza palestinese. Gadi Becker sarà il suo istruttore e il gioco della finzione si mischierà alla realtà lasciando gli attori di questa vicenda confusi e incerti sulla propria identità e le proprie lealtà. Un capolavoro di ambiguità impreziosito dall’ottima regia di ParK Chan-Wook che riesce a fondere il suo gusto cromatico senza mai tradire l’estetica da guerra fredda dei classici dello spionaggio. Un gruppo d’attori tra cui il solito e solido Alexander Skarsgård, il come sempre eccezionale Michael Shannon e un’ottima Florence Pugh, che avevamo già apprezzato in Lady Macbeth.

Seven Seconds

Seven Seconds (Netflix)

Veena Sud (The Killing, Cold Case) ci regala una versione moderna di delitto e castigo. Un poliziotto investe per sbaglio un ragazzino in bici e lo uccide, i  colleghi della sua squadra arrivano sul posto e decidono di insabbiare tutto. Questo è solo l’inizio di una discesa nel Maelstrom che porterà allo sfaldamento di relazioni, amori e amicizie e ad eventi tragici e drammatici inevitabili in una serie di dieci puntate che potremmo definire dramma procedurale. Regina King si è presa un Grammy per la sua interpretazione della madre del ragazzo morto. Seven Seconds è forse un po’ lento ma vale assolutamente la pena.

Hill House (Netflix)

Fare una serie da questo classico dell’horror (L’incubo di Hill House in inglese The Haunting of Hill House di Shirley Collins del 1959) era piuttosto difficile.  Il materiale di partenza è molto elusivo, il libro è una serie di suggestioni e incubi tutti psicologici alla Edgar Allan Poe o H. P. Lovecraft dove succede assai poco, eppure Mike Flanagan, che ha scritto e diretto la serie, riesce a inserire una trama interessante in cui la casa infestata dagli spettri diventa protagonista. La storia di Hill House è la storia di una famiglia che si reca in una imponente quanto misteriosa casa, qualcosa di terribile accadrà e i familiari superstiti pagheranno per il resto della vita: personalità distrutte, rapporti disfunzionali e nevrosi porteranno tutti sull’orlo del baratro… ma qualcosa cambia all’improvviso, la casa li reclama… La serie, pur essendo un dramma familiare, riesce sempre a mantenere l’atmosfera gotica e inquietante che si addice ad un film di fantasmi, ci sono anche un paio di jump scare niente male.  La presenza di Timothy Hutton è la testimonianza che non sempre ripescare il vecchio attore famoso e dimenticato funziona.

Atlanta (FX)

arrivata alla seconda stagione, questa serie ideata e recitata da Donald Glover (Spiderman: Homecoming, Solo: A Star Wars Story) è un animale raro e prezioso: un po’ drammatica, un po’ commedia, un po’ serie musicale. Earn, il protagonista, lascia Princeton per ragioni mai spiegate, non avendo soldi o un lavoro (era entrato a Princeton grazie ai suoi ottimi risultati scolastici ma proviene da una famiglia piuttosto modesta) decide di offrirsi come manager del cugino, un rapper che si fa chiamare “Paper Boy” e che sta riscuotendo sempre più successo. La vita non è facile, inoltre Earn ha una figlia da mantenere, ma giorno dopo giorno cerca di farsi valere in uno show business che rimane sempre ancorato a visioni razziste e stereotipate. La forza di Atlanta , oltre alla costruzione di personaggi memorabili, viene dalla capacità di scrittura eccezionale di Glover,  la sceneggiatura di alcune puntate della seconda stagione raggiunge livelli altissimi (FUBU e Woods sono veramente ammirevoli) e i personaggi man mano che vanno avanti acquistano sempre più spessore e colore. La sequenza surreale nella “frat house” vale tutta una serie:

Cobra Kai (YouTube)

Si può tornare dopo 34 anni e toccare un film di culto come Karate Kid senza sfigurare? Assolutamente sì.
Daniel è ormai un uomo di successo, vende macchine e negli spot fa ancora pesare la sua gloria passata. Johnny Lawrence, il cattivo biondo rappresentante del dojo Cobra Kai che Daniel ha sconfitto con la famosissima mossa della gru, è un fallito che beve, ha perso la famiglia e non riesce a tenere un lavoro per più di sei mesi. L’incontro fortuito tra i due riaccende una scintilla, dopo tutto sia Daniel che Johnny vivono in un passato nostalgico e glorioso. Ma il rifondare il dojo Cobra Kai per Johnny sarà un’occasione di riscatto umano e sportivo in una sfida che stavolta si presenta quasi a parti invertite. Twist nel finale di stagione che ci ha lasciati impazienti di vedere la seconda. Divertente, commovente, convincente: Strike first, Strike hard, NO MERCY!

Sharp Objects

Sharp Objects (HBO)

Una miniserie in 8 puntate che è un thriller scuro e inquietante permeato da atmosfere che un tempo si sarebbero chiamate da “gotico sudista” alla William Faulkner. Camille Preaker, interpretata da una grande Amy Adams (Big Eyes, Man of Steel) figlia di una famiglia del potente e tradizionale sud si è ormai emancipata e vive a Saint Louis facendo la giornalista. L’infanzia e l’adolescenza segnate da una madre ingombrante, la morte della sorella e abusi sessuali hanno portato Camille a compiere atti di autolesionismo e alcolismo. Tutto ritorna a galla quando viene spedita nella sua città natale nel profondo sud del Missouri agricolo, ad indagare sulla misteriosa morte di un’adolescente. Il mistero si infittirà e si intreccerà con il passato di Camille, la sua storia familiare e la storia della sua città natale, la violenza e la morte cominceranno a stringere un cappio sempre più stretto intorno alla protagonista che farà i conti con un segreto indicibile. Bellissima colonna sonora a base di Led Zeppelin.

The Terror (AMC)

The Terror è una serie che va a riempire quel vuoto lasciato da film come master and Commander. Si tratta di una serie di 10 episodi La serie è basata sul romanzo del 2007 La scomparsa dell’Erebus (The Terror) di Dan Simmons, ed è ispirata la storia vera delle navi inglesi Terror e Erebus rimaste intrappolate nei ghiacci nel tentativo di trovare il mitico passaggio a nord ovest. Così come il romanzo tenta di riempire gli aspetti non documentati e inspiegabili della scomparsa anche la serie immagina una narrativa collettiva e umana di discesa verso la consapevolezza che non vi è più scampo. Alcuni reagiranno stoicamente, altri impazziranno, altri tenteranno di rimanere aggrappati alla vita fino alla fine. The Terror funziona perché mette a nudo ritratti umani che si confrontano con una natura imponente, impenetrabile e misteriosa. Qualche tocco di gotico/horror forse un po’ forzato, ma un bellissimo racconto di avventura. Rinnovata per una seconda stagione che sarà ambientata, coerentemente con il suo spirito antologico, durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

The End of the Fucking World (Netflix)

8 puntate della durata di circa 20 minuti ciascuna. Una commedia romantica intrisa di humor nero, i due adolescenti protagonisti sono James, un sociopatico con tendenze omicide, e Alyssa, una mezza pazza instabile. Il loro incontro potenzialmente esplosivo li porta ad una specie di road trip sulla costa inglese alla ricerca del padre di lei. La ricerca è una scusa per lasciare le loro odiose e noiosissime vite, ma nella loro folie a deux si intravede uno spiraglio di logica e un’insospettabile storia d’amore. Musica e stile dirette evidentemente ad un pubblico molto giovane, ma non male anche per i più grandi.

Glow (Netflix)

Un’altra serie Netflix e un’altra serie alla seconda stagione: Glow, acronimo di Gorgeous Ladies of Wrestling. Siamo a Los Angeles nel 1985, un gruppo di attrici e lottatrici più o meno improvvisate e più o meno improbabile sta lavorando al proprio show sul wrestling femminile. la scommessa è ardita e le tensioni fra le protagoniste, le due principali hanno avuto dissapori di origine “sentimentale”, non aiutano. Trovare sponsor e pubblico è complicato, ma proprio la rivalità fra le due, sublimata dai loro alter ego sul ring, diviene una potente  dinamica narrativa che darà una forma al loro spettacolo. Una commedia che fa sorridere più che ridere e che conferma un’ottima seconda stagione dopo la già entusiasmante prima. Alison Brie spicca su tutte/i.

The Deuce (HBO)

Arrivata alla seconda stagione, ambientata 5 anni dopo la prima, questa serie non perde colpi. The Deuce è il tratto di New York della 42a strada dove dal dopoguerra fino agli anni ’80, grazie alla presenza di cinema a luci rosse e prostituzione, si crea un vero e proprio universo fatto di personaggi strambi ed eccentrici, lavoratori dell’industria del sesso, scoppiati, artisti e avventurieri vari. Nella seconda stagione si narra l’ascesa dell’industria del porno e i primi tentativi della normalizzazione dell’area. Ormai siamo in piena esplosione Disco, la seconda stagione di  The Deuce segue una galleria di personaggi, protettori, prostitute, imprenditori e mafiosi che avevamo già incontrato nella prima stagione. Candy è ormai un’affermata regista di porno e cerca attraverso questa passione il riscatto sociale e personale, Vince è un imprenditore di successo con le mani in pasta con la mafia, Lori è diventata una starlette del cinema per adulti, Abigail ha sviluppato una coscienza politica che la spinge a battersi coerentemente con i suoi ideali progressisti e femministi. New York alla fine di un’era, echi di Scorsese e dei Ramones. Se avete amato i Sopranos o Boardwalk Empire, non potete non seguire questa serie.

 

Menzione d’onore. The City & the City (BBC 2)

In verità questa è un’aggiunta fatta un paio di settimane dopo l’uscita dell’articolo perché non poteva rimanere fuori da questo post una delle serie più interessanti dell’anno, basata sul romanzo di China Mieville, scrittore britannico molto amato fra gli appassionati di letteratura weird, The City and the City è una miniserie moto ben costruito. Si tratta di un detective noir abbastanza classico, se non fosse che si svolge in una città divisa in due da antichi a misteriosi tabù, sui quali veglia una misteriosa forza di polizia. Una città divisa in due città spesso l’una accanto all’altra, che si ignorano o che si accavallano, nella quale un delitto di una giovane donna costringe l’ispettore Tyador Borlú (grandissimo David Morrissey) ad indagare e superare anni di reciproca diffidenza, un grande hard boiled in chiave fantascientifica che non deluderà.

 

 

 

 

Star Trek Discovery? Meglio The Orville.

Ora che è finita la prima stagione di Star Trek: Discovery è tempo di bilanci.

Erano anni che appassionati trekkari e non, aspettavano un ritorno sul piccolo schermo della serie iconica e finalmente CBS si è decisa a produrre uno show di 15 puntate. L’eccitazione per una nuova stagione di Star Trek  nell’epoca forse migliore della tv episodica è stata evidente sin dall’inizio, i produttori promettevano un livello narrativo all’altezza di Game of Thrones o Breaking Bad, un romanzone complesso e adulto molto ambizioso.

Devo ammettere che il fatto che Alex Kurtzman fosse fra i creatori però non prometteva benissimo, Kurtzman appartiene alla scuderia di JJ Abrahams e compagni, uno dei gruppi di sceneggiatori più sopravvalutati del momento, l’uscita anticipata dal gruppo di produttori di Byran Fuller, che decideva di dedicarsi di più ad American Gods, poi non prometteva bene.

Eppure, come migliaia di patiti di Star Trek, ho aspettato fiducioso l’inizio della serie: dopo i primi due episodi mi sono detto, “vabbé diamo tempo di carburare”, poi  dopo il mid-season finale  mi sono detto “vediamo dove vuole andare a parare”. Con il finale di stagione quelli che erano dubbi sono diventate delusioni conclamate.

Attenzione (seguono spoilier)

ST:D non è un cattivo show di fantascienza, è una serie di SF piuttosto mediocre  con buoni momenti qui e lì, ma è decisamente un pessimo show di Star Trek.

Non voglio nemmeno entrare nella polemica tra fan tradizionalisti e non, che litigano sui blog e forum da mesi sulla totale incoerenza di ambientare la storia 10 anni prima della serie originale per praticamente presentare un universo totalmente diverso da quello tradizionale. Di solito, Abrahams, Orci, Kurtzman e soci risolvono queste questioni inventandosi una dimensione alternativa, qui non si sono neanche degnati di ricorrere a questo trito trucchetto da quattro soldi (in parte…).

Il problema più grande di Star Trek: Discovery, è un altro, un’enorme superficialità di trama, tutta basata su soluzioni e colpi di scena che sembrano forzati e mai adeguatamente maturati nel corso della narrazione: un ammiraglio nel corso di una sola puntata può passare dal tentato genocidio di un pianeta ad appuntare medaglie su coloro che lo hanno sventato, con relativa sviolinata di una retorica francamente imbarazzante, per contenuti e metodo di presentazione filmica. Si può risolvere una guerra interplanetaria come niente fosse o come se non fosse mai avvenuta con un drone  e andare sul pianeta Klingon in piena guerra con nessuno che si fa problemi. Un personaggio può essere mezzo Klingon e mezzo umano senza mai farci capire effettivamente come tale fusione sia potuta accadere. Personaggi vengono uccisi ” a buffo” altri resuscitati a forza grazie a… indovinate… gli universi alternativi. In generale la tempistica e lo sviluppo della narrazione sembrano sempre goffi e rallentati in  alcuni punti per poi essere frettolosamente chiusi in altri. Fra esplosioni e colpi di scena sembra di stare in un film di Michael Bay che dura 15 ore.

Klingon????

L’altro grande problema relativo alla serie, sembra la scarsa profondità di caratterizzazione dei personaggi. Di solito la tecnica è quella di caratterizzarli fortemente i primi 10 minuti che vengono presentati al pubblico, e poi ogni coerenza tende a sfilacciarsi per adattarsi a qualsiasi situazione gli sceneggiatori abbiano inventato, questo vale per Sarek, che alla fine dello show sorride, tocca e scherza con la sua figlioccia come un umano qualsiasi oppure per la cadetta Silvia Tilly, che alla 4 puntata forse dimentica di avere disturbi di personalità e diventa una specie di simpatica nerd al college e, a parte Saru (l’unico personaggio con un certo spessore), dimenticate il tradizionale approccio collettivo alla narrazione, pieno di sottotrame e caratterizzazioni dei personaggi “minori”, questo Star Trek: Discovery non ha tempo per questo, è troppo impegnato a sconfiggere Imperi in universi alternativi nel giro di tre puntate, viaggiare nello spazio tempo con fantomatiche spore in due puntate e vincere guerre galattiche in una.

Infine, poi onestamente Sonequa Martin-Green non è che sia il massimo della recitazione, quando in particolare (in lingua originale) comincia a bisbigliare invece di parlare l’ammazzerei con la Bath-Leth. Nel cast, gli unici degni di nota mi sembrano Doug Jones e Rainn Wilson (nei panni di Harry Mudd, l’unico bagliore di luce in un panorama narrativo molto grigio).

Un gruppo di produttori mediocri e senza idee si è praticamente appropriato con l’inganno di una nave della Federazione, cercando di convincerci che la modernità e il futuro sono più stupidi e superficiali del presente, esattamente il contrario di tutto ciò che l’universo di Star Trek ha sempre rappresentato. Francamente se avete voglia di Star Trek guardate The Orville, una vera e propria lezione di scrittura intelligente e non presuntuosa.

American Gods: una recensione controcorrente

Tutti sembrano pazzi per lo show American Gods della Starz, ma non tutto sembra funzionare bene nella serie ispirata al celebre libro di Neil Gaiman.

Non voglio neanche stare a paragonare il libro con la serie. Il romanzo di Neil Gaiman fu un unicum quando uscì, la sua vena ironica, il mix di cultura pop e miti religiosi comparati, ma soprattutto l’originale rappresentazione umana e fruibile degli dei alla base del libro (e di molti dei suoi lavori sin dai tempi di Sandman), ne decretarono il successo e diedero un aspetto più cool e hipster al romanzo fantasy. In seguito, forse questo mix è stato usato e abusato, da lui ed altri, diventando una formula un po’ stantia…Ma questo è un altro medium e un’altra storia.

La serie Starz American Gods viene recensita in termini entusiastici un po’ dappertutto, specialmente da quella stampa e da quei blog specializzati e appassionati del genere, mentre altri giornali più mainstream, come il New York Times per esempio, forse con una base di lettura con meno fanboys e fangirls, ne hanno colto alcuni elementi interessanti e critici.

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Quello che notiamo se prendiamo in considerazione la serie tv sola, tenendo a bada l’ammirazione per il lavoro di Gaiman, è che la storia è un mix che non sempre si capisce dove vuole parare e fra digressioni e scene spesso totalmente gratuite, fatte più per compiacere l’occhio che per funzioni narrative, prende forma solo alla fine della prima stagione.

Shadow Moon è un carattere scialbo, Odino/Mercoledì avrebbe avuto bisogno di un attore molto più carismatico del pur volenteroso Ian McShane, i personaggi più interessati sono personaggi secondari, come Laura Moon (se si riesce a perdonare l’espressività da selfie instagram di Emily Browning) e il Leprecauno dell’ottimo Pablo Schreiber. Ovviamente questo porta alle lunghe digressioni sulla loro ‘backstory’ cha a tratti hanno un po’ fatto perdere il filo del discorso. Inutile dire che, essendo una serie Starz, vi è spesso violenza e nudità gratuita più da Grinderhouse movie tarantiniano che altro, ed un utilizzo della musica sempre a contrasto che dopo un po’ stucca.

Il Dio della tecnologia, nel libro è grasso, ma alla Starz è vietato essere grassi
Il Dio della tecnologia, nel libro è grasso, ma alla Starz è vietato essere grassi!

Eppure i segnali di qualche difficoltà a trovare il bandolo narrativo c’erano tutti, lo show ha subito una lunghissima gestazione con diversi cambi allo script e inizialmente doveva essere HBO, il nostro prima articolo a riguardo risale addirittura al 2011. Certo non era un compito facile quello di Bryan Fuller e Michael Green, il libro è un cult e ha un’atmosfera difficile da cogliere, ma verso la fine della stagione si è cominciata a vedere una certa coerenza e si spera che la Starz non voglia strafare tirandola per le lunghe e concluda l’arco narrativo in massimo tre stagioni. Del resto l’universo di American Gods può essere sfruttato per molte side stories come ha dimostrato lo stesso Neil Gaiman publicando ad esempio The Monarch of the Glen in Fragile Things. La possibilità di spinoff c’è tutta, che ne pensate?

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Constantine cancellato: ennesima débacle per la tv di genere su un grande network

Come abbiamo già scritto in passato, Constantine non sarà l’ideale per i fan del fumetto Hellblazer ma è meglio di niente. Purtroppo questo show sviluppato da David S. GoyerDaniel Cerone e interpretato da Matt Ryan (una delle poche cose buone dello show) nella parte del mago, ex punk, stregone, re del sarcasmo John Constantine, chiuderà i battenti, la NBC ha detto la parola fine alla serie.

Sin dall’inizio Constantine ha avuto problemi, con un pilota che ebbe una sterzata brusca nel finale a causa di un cambio di coprotagonista fra la prima e seconda puntata. Poi ha stabilmente e costantemente perso spettatori. Non c’è da stupirsi: come molti commentatori avevano notato, Constantine sembrava essere la versione cupa, angosciante e anche meno glamour di Supernatural. La NBC si aspettava forse un successo simile, ma non ha fatto i conti che show come Supernatural o Vampire Diaries fanno leva su un pubblico pressoché adolescente e sono estremamente più semplici e accattivanti. Constantine, nella sua versione banalizzata ed edulcorata dell’originale personaggio creato da Alan Moore, era un po’ troppo né carne né pesce. Una via di mezzo che non andava nella direzione commerciale voluta dalla NBC e neanche nella direzione cult che avrebbe potuto attrarre i tanti fan del fumetto.

Forse uno show come Constantine sarebbe stato meglio su un canale via cavo che su uno dei network principali, dove gli ascolti grossi vengono dai procedurali e dalle sitcom e dove il pubblico potrebbe non essere preparato a serie gotiche che non siano almeno un po’ glitterate, e forse questo potrebbe accadere, stando al tweet di Cerone:

Constantine tweet

Quindi l’autore spera ancora in una salvezza dello show presso un altro canale. Io personalmente non sono più riuscito a seguirlo dopo la quarta, quinta puntata. Per me John Constantine è e rimane quintessenzialmente britannico, con tanto di case di Crowley, Hooligans posseduti, Ley Lines da difendere e la Londra misteriosa e sotterranea dal fascino innegabile.

Beowulf: adesso la serie tv

La ITV ha ordinato un dramma epico in 13 puntate ispirato al classico anglosassone Beowulf. La serie è descritta come una rivisitazione di uno degli più grandi e duraturi eroi della letteratura. Questa incarnazione di Beowulf è creata da  James Dormer di Strike Back e i dirigenti degli ITV Studios Tim Haines (Primeval) e Katie Newman (Primeval: New World).

La serie d’azione è ambientato nella mitica terra degli Shieldlands, un luogo fantastico e pericoloso, popolato da esseri umani e creature fantastiche (e qua già ci allontaniamo dal canone letterario). L’ambientazione vede il guerriero scandinavo eponimo che torna a Heorot a rendere omaggio al recentemente scomparso Hrothgar – l’uomo che lo ha cresciuto. Ma quando il palazzo è attaccato dal mostro terrificante Grendel, Beowulf deve cacciarlo, ottenendo al contempo il favore della nuova governante di Heorot, e della comunità. Insomma siamo lontani dall’orignale e facciamo un passo ulteriore più in la rispetto al già fantasioso Beowulf di Zemeckis, sceneggiato da Neil Gaiman e Avary. Insomma se non c’è la storia d’amore a quanto pare non si può investire in una storia…

Questa è la più recente di una serie di ambiziosi drammi storici che ITV ha commissionato. Nel mese di novembre, l’emittente ha ordinato  una serie in sei parti ambientata nel 1827 intitolata Frankenstein Chronicles interpretata da Sean Bean, così come la serie di azione e avventura ambientata negli anni ’30 Jekyll & Hyde.

Ecco le nomination ai Golden Globes per la tv del 2015

MIGLIOR SERIE – DRAMMA
Downton Abbey
House of Cards
Il Trono di Spade
The Affair
The Good Wife

MIGLIOR SERIE – COMEDY O MUSICAL
Girls
Jane the Virgin
Orange Is the New Black
Silicon Valley
Transparent

MIGLIOR ATTORE IN UNA SERIE DRAMMATICA
Clive Owen, The Knick
Liev Schreiber, Ray Donovan
Kevin Spacey, House of Cards
James Spader, The Blacklist
Dominic West, The Affair

MIGLIOR ATTRICE IN UNA SERIE DRAMMATICA
Claire Danes, Homeland
Viola Davis, How to Get Away With Murder
Julianna Margulies, The Good Wife
Ruth Wilson, The Affair
Robin Wright, House of Cards

MIGLIOR ATTORE IN UNA SERIE – COMEDY O MUSICAL
Louis C.K., Louie
Don Cheadle, House of Lies
Ricky Gervais, Derek
William H. Macy, Shameless
Jeffrey Tambor, Transparent

MIGLIOR ATTRICE IN UNA SERIE – COMEDY O MUSICAL
Lena Dunham, Girls
Edie Falco, Nurse Jackie
Julia Louis-Dreyfus, Veep
Gina Rodriguez, Jane the Virgin
Taylor Schilling, Orange Is the New Black

MIGLIOR MINISERIE O FILM TV
Fargo
Olive Kitteridge
The Missing
The Normal Heart
True Detective

MIGLIOR ATTORE IN UNA MINISERIE O FILM TV
Martin Freeman, Fargo
Woody Harrelson, True Detective
Matthew McConaughey, True Detective
Mark Ruffalo, The Normal Heart
Billy Bob Thornton, Fargo

MIGLIOR ATTRICE IN UNA MINISERIE O FILM PER LA TV
Maggie Gyllenhaal, The Honorable Woman
Jessica Lange, American Horror Story: Freak Show
Frances McDormand, Olive Kitteridge
Frances O’Connor, The Missing
Allison Tolman, Fargo

MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA IN UNA SERIE, MINISERIE O FILM PER LA TV
Matt Bomer, The Normal Heart
Alan Cumming, The Good Wife
Colin Hanks, Fargo
Bill Murray, Olive Kitteridge
Jon Voight, Ray Donovan

MIGLIOR ATTRICE NON PROTAGONISTA IN UNA SERIE, MINISERIE O FILM TV
Uzo Aduba, Orange Is the New Black
Kathy Bates, American Horror Story: Freak Show
Joanne Froggatt, Downton Abbey
Allison Janey, Mom
Michelle Monaghan, True Detective

The Bridge versione US chiude (finalmente) i battenti

The Bridge versione a stelle e strisce era solo una pallida imitazione dell’originale danese/svedese Bron. Già dopo la prima stagione vi erano stati dubbi sulla scelta della FX di continuare con uno show che, onestamente non aveva né capo né coda. La trama, forzosamente cambiata per arrivare alla pruriginosità che tanto piace oltreoceano, era piena di buchi e di scelte del tutto inutili. The Bridge si dibatteva tra il whodunnit di ispirazione originaria e un tentativo di cast collettivo che però non è mai maturato. L’unica cosa che funzionava era la discreta caratterizzazione dei due protagonisti. Il poliziotto messicano passionale e con problemi familiari e la poliziotta americana con problemi relazionali, anche se i due originali interpretati da Sofia Helin e Kim Bodnia (che però ha deciso recentemente di cambiare aria) sono distanti anni luce.
Diamo atto al canale di averci provato almeno per un altro anno, ma adesso l’annuncio è definitivo, The Bridge chiuderà con il terminare della seconda stagione. I ratings sono rimasti bassi, la critica è tiepida. Addio The Bridge, noi continueremo a guardare Bron

Ecco gli originali:

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Black Sails, la serie sui pirati finalmente in Italia

Arriva su AXN HD, il canale 122 di Sky dedicato ad un pubblico amante dell’azione, Black Sails, una serie evento in 8 episodi e in prima visione assoluta che, lunedì 22 settembre alle 21.00, inaugurerà la stagione autunnale del canale.

La serie, che vanta la produzione esecutiva di Michael Bay, porterà gli spettatori nel mondo dei pirati, che sono però rappresentati per la prima volta con grande realismo e crudezza.

Vincitrice agli Emmy® per gli effetti speciali e sound editing, è ambientata nel 1715, l’età d’oro della pirateria caraibica. L’ex colonia britannica dell’isola di New Providence è divenuta una terra senza legge, controllata da un manipolo di capitani fuorilegge che includono alcuni tra i pirati più famosi della storia. Il più temuto tra questi è il Capitano Flint (Toby Stephens – Die Another Day), un uomo mosso da ragioni profonde e intricate, che tradiscono un’indole romantica. Flint si allea con la bellissima Eleanor Guthrie (Hannah New – Maleficent), figlia del capo dei contrabbandieri locali, che deve la sua fortuna alla ricettazione del bottino dei pirati. Insieme escogitano un piano per impadronirsi del tesoro del secolo e impedire la riconquista della loro isola da parte di un impero che sta rialzando la testa. I loro piani sono contrastati da molti nemici: i capitani rivali, gelosi del potere di Flint; il padre di Eleanor, le cui ambizioni sull’isola sono in conflitto con quelle di sua figlia; e soprattutto John Silver (Luke Arnold – Broken Hill), un giovane marinaio reclutato nella ciurma di Flint.

Le vicende di Black Sails si svolgono 20 anni prima dei fatti narrati nel grande classico di Robert Louis Stevenson “L’Isola del Tesoro” ed è un dramma intenso e sofisticato, calibrato con sagace ironia, che porta una sorprendente freschezza in un genere classico.

Black Sails è una serie originale STARZ, creata da Jonathan Steinberg (Jericho, Human Target) e Robert Levine (Touch), e che vanta la prestigiosa firma di Michael Bay (Transformers, Armageddon, Pearl Harbor) fra i suoi produttori esecutivi.

Dello show è già stata prodotta una seconda stagione, che arriverà sempre su AXN HD in prima visione assoluta all’inizio del 2015.

Fonte: comunicato stampa

Le serie TV sono i nuovi fumetti? (… e il nuovo cinema?)

Il fenomeno è ormai difficile da ignorare: Arrow, Flash, Constantine, Gotham, in preparazione abbiamo Supergirl (si spera che non abbia le fattezze anoressiche del fumetto) e il nuovo progetto Titans per quel che riguarda la DC, mentre abbiamo MARVEL Agents of SHIELD , Daredevil, Luke Cage e Agent Carter per la Marvel, per non parlare di altre serie tratte da fumetti pubblicati da altre case editrici minori, uno su tutti… the Walking Dead. La tv, che aveva incrociato le sue strade con i fumetti con moderazione in passato, ricordiamo gli storici Batman, Hulk e Wonder Woman e più recentemente Smallville, sta per essere invasa dagli eroi in costume che hanno accompagnato l’infanzia e in qualche caso anche l’adolescenza di alcuni di noi, anzi tale invasione è bella che incominciata.

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I FUMETTI AL CINEMA
Ma cosa è cambiato negli ultimi anni? Quali potrebbero essere le ragioni di questa scelta dei network di dare più spazio ai supereroi in tv?
I motivi potrebbero essere tanti, uno per cominciare è sicuramente il successo cinematografico sempre maggiore dei franchise come I Vendicatori, Iron Man, il consolidato Batman, X-Men, Thor, Capitan America, L’uomo Ragno ecc., che non solo hanno allargato l’audience di questo genere ma anche attratto attori, registi e sceneggiatori di una certa qualità, andando senza dubbio a migliorare il livello dei film di supereroi. Whedon, Nolan, Snyder sono solo alcuni esempi ma la lista è lunga.
La tendenza poi è stata di passare, al cinema, da semplici trilogie a veri e propri intrecci e crossover (Vendicatori, Thor, Capitan America) che addirittura si intersecano con le serie tv (Agents of SHIELD è un esempio classico), si utilizzano archi narrativi famosi (X-men Days of the Future Past) o in altri casi in veri e propri reboot, più o meno riusciti, come  nel caso de L’uomo Ragno o Superman.
Insomma anche in video si cominciano a sviluppare le stesse tecniche narrative che si sono sperimentate sulla carta stampata.

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BAMBINI CRESCIUTI
Forse l’anagrafica centra, molti degli attuali produttori e showrunner sono stati grandi consumatori di fumetti negli anni ’60 e ’70 e così come anche il segmento anagrafico che gli inserzionisti pubblicitari sembrano prediligere, ovvero i 40enni. L’altro segmento anagrafico è proprio quello degli adolescenti che, si sa, sono i destinatari ufficiali delle storie di eroi e eroine in costume. Raggiungere padri e figli con un unico prodotto utilizzando una studiata tempistica generazionale avrebbe senso. Tale eventuale strategia potrebbe giustificare l’invasione dei fumetti che la tv sta sperimentando e risponderebbe alla domanda perché tanti e perché proprio ora?

CONCENTRAZIONE EDITORIALE
Un’altra risposta a questa domanda potrebbe essere che proprio il successo cinematografico ha spinto investitori a credere in progetti che negli anni ’90 venivano accantonati. Disney e Warner hanno comprato praticamente il comprabile e possono fare soldi dal cinema, dal merchandising e dagli show che possono sia produrre che distribuire. Non sarà sfuggito a nessuno quell’enorme intreccio commerciale fra telefilm e fumetti e orgia consumistica che sono diventate le convention come il Comic-Con. Certo non vi è dubbio che stiamo anche vivendo una seconda età dell’oro delle serie tv e spesso le sceneggiature e i soggetti interessanti si fa fatica a trovarne. I fumetti sono una delle fonti narrative più ricche e variegate degli ultimi 50 anni, una vera e propria miniera di storie inesplorate, quindi… Battiamo il ferro finché è caldo e gratis per noi… sembrano pensare i pezzi grossi di Warner e Disney che possiedono i diritti dei personaggi.

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Un’ultima considerazione: in un mondo complesso diviene sempre più difficile narrare in un’ora e mezza o due una storia. Quindi le storie cominciano a strabordare, diventano ergodiche, rispondendo all’esigenza di attrarre pubblico che vuole essere intrattenuto in fretta ma può permettersi di approfondire tutto (vedi internet), in altre parole le serie tv stanno diventando sempre più dei lunghissimi film, perdendo la caratterizzazione episodica, mentre il cinema sta sempre più serializzandosi.
In quanto appassionati di telefilm, la cosa non ci dispiace, anzi la troviamo bella e interessante, speriamo solo che si evitino gli errori fatti nell’universo narrativo del fumetto, in cui un’eccessiva ricerca del cliffhanger, della vendita e della spettacolarizzazione hanno portato a confondere, intrecciare, uccidere e resuscitare, sdoppiare, multiversare all’eccesso, facendo perdere alle storie e ai personaggi la loro bellezza e interesse. Speriamo non sia così per gli show in tv e che riescano a imparare dagli errori del passato per regalarci altre belle storie nel futuro.

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