Star Trek Picard: buone idee, esecuzione confusa

Sono sicuro che un anno e mezzo fa, alla notizia che la CBS stava richiamando alle armi Sir Patrick Stewart per proporre una nuova serie di episodi di Star Trek con lui come protagonista, tutti i fan hanno fatto i salti di gioia. Star Trek è una serie iconica e il Capitano Picard, vincendo una scommessa che molti ritenevano impossibile, è diventato un personaggio amato e importante quanto forse solo Kirk e Spock lo sono stati, aiutando al contempo a rilanciare con The Next Generation  un franchise che sembrava spacciato.

Le aspettative su Star Trek: Picard erano quindi altissime, ed a buona ragione. Oltre a Stewart, nella serie sono stati coinvolti anche alcuni “pezzi grossi” di The Next Generation: Brent Spiner (Il Comandante Data), Jonathan Frakes (Il Comandante Ryker), Marina Sirtis (Deanna Troi) e, come se non bastasse, uno dei personaggi di maggior successo di Voyager, Sette di Nove, interpretata da Jery Rian. Ma anche il fronte produzione non scherzava: oltre alla ovvia presenza di Alex Kurtzman, Kirsten Beyer e Akiva Goldsman, creatori della “cricca” di J.J. Abrams che con lui condividono gran parte della direzione artistica e concettuale  del nuovo Star Trek, è stato arruolato anche uno scrittore del calibro di Michael Chabon (assolutamente da leggere il suo pluripremiato Le Fantastiche Avventure di Kavalier and Clay).

Poteva andare meglio… poteva anche andare peggio però…

jeri-ryan-andata-panico-leggendo-battute-sette-nove-star-trek-picard-v4-427972-1280x720

Ecco la premessa in sintesi: anni dopo l’addio non troppo pacifico dell’Ammiraglio Picard dalla Flotta Stellare, un fantasma del passato torna e spinge il buon vecchio protagonista, stanco e acciaccato, ad una ricerca intergalattica che, nella migliore tradizione di Star Trek, servirà sia a risolvere un conflitto potenzialmente letale per ogni forma di vita che un tormento personale del protagonista legato alla prematura fine del rapporto fra lui e Data.

Seguono moderati spoiler:

L’idea di base è quindi buona, un vecchio Comandante idealista e cocciuto che combatte per un’ideale contro tutto e tutti, ma soprattutto contro una Federazione che sembra aver smarrito la retta via della fratellanza e solidarietà tra i popoli per ritirarsi spaventata e incapace di nuove visioni. Purtroppo però l’esecuzione lascia un po’ a desiderare, il debole dei recenti padroni di Star Trek per le scene di menare, le esplosioni rumorose, la fissa per i complotti e per i colpi di scena gratuiti e a volte incomprensibili, affogano un po’ le buone idee in un miasma confuso che mette a dura prova la logica e la coerenza della trama, per cui è delle volte necessario veramente  cercare di leggersi i riassunti delle puntate precedenti per capire perché succedono alcune cose. Di conseguenza molti personaggi mancano di sostanza, le loro motivazioni non sono mai approfondite, un po’ perché non c’è mai tempo fra un gioco di prestigio e un altro, un po’ perché effettivamente gli attori che affiancano Patrick Stewart non riescono a dare spessore e non riescono a creare quella chimica fra personaggi che invece nei migliori Star Trek era stata la forza e la sostanza stessa della serie. Basta mettere a confronto ad esempio il rapporto fra Picard e Rafi (Michelle Hurd), una coppia che dovrebbe avere un passato “pesante” (ad un certo punto lei, abbastanza gratuitamente ed estemporaneamente , gli confessa persino il suo amore) e l’unica puntata, Nepenthe, in cui Ryker, Troi e Picard si ritrovano insieme, una puntata in cui, abbandonate le mosse di Kung Fu e gli effetti speciali, si esplorano la perdita, il dolore e la memoria, regalandoci un episodio che sembra uscito da uno show di un altro livello.

The End Is The Beginning

Non aiuta che i membri della ciurma dell’equipaggio che accompagna nella sua avventura Picard, nonostante il tentativo di fornire ad ognuno una specie di storia personale che li definisca, risultano spesso bidimensionali e del tutto incidentali, con continui cambi di atteggiamento che li portano a fare tutto e il contrario di tutto, fino ad arrivare all’ultima puntata in cui il MacGuffin, l’androide Soji, e in verità un po’ tutti, oscillano in costanti giravolte attitudinali e/o caratteriali. Tralascio i Romulani, opportunamente vestiti di pelle nera, che avrebbero potuto portare una certa “gravitas” ma che si riducono spesso a cattivi da operetta,  e una 7 di 9 che, pur essendo sempre un bel vedere, è costantemente ed esclusivamente in modalità film d’azione. Dimenticavo… c’è anche uno spadaccino che forse sarebbe stato più adatto al Signore degli Anelli. In particolare il trattamento offerto ai personaggi secondari mi sembra un segno incontrovertibile che la fascinazione per Guerre Stellari del gruppo di Kurtzman e soci è sempre più evidente.

maxresdefault

Eppure nonostante tutto ciò delle perle emergono qui e lì, come ad esempio la già citata Nepenthe, e la forza di questa serie sta proprio nell’idea fondamentalmente trekkiana, che il credere nel bene, nel coraggio di fare a scelta più scomoda e tendere la mano al prossimo sia la scelta giusta. Gli ultimi 10 minuti, specialmente una conversazione fra Data e Picard, ci regalano Star Trek ai massimi livelli, ricordandoci che essa è una serie che ci spinge ai confini immaginari dello spazio conosciuto solo  per farci guardare meglio dentro e capire il senso della nostra umanità. Peccato… questi squarci di ciò che avrebbe potuto essere lo show, e non è stato, ci fanno arrabbiare ancora di più ma ci fanno anche sperare magari in una seconda stagione (possibilissima visto come si è chiusa la prima) in cui queste potenzialità verranno finalmente espresse.

star-trek-picard-107-nepenthe-preview-750x480

Lascia un commento