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Star Trek Picard: buone idee, esecuzione confusa

Sono sicuro che un anno e mezzo fa, alla notizia che la CBS stava richiamando alle armi Sir Patrick Stewart per proporre una nuova serie di episodi di Star Trek con lui come protagonista, tutti i fan hanno fatto i salti di gioia. Star Trek è una serie iconica e il Capitano Picard, vincendo una scommessa che molti ritenevano impossibile, è diventato un personaggio amato e importante quanto forse solo Kirk e Spock lo sono stati, aiutando al contempo a rilanciare con The Next Generation  un franchise che sembrava spacciato.

Le aspettative su Star Trek: Picard erano quindi altissime, ed a buona ragione. Oltre a Stewart, nella serie sono stati coinvolti anche alcuni “pezzi grossi” di The Next Generation: Brent Spiner (Il Comandante Data), Jonathan Frakes (Il Comandante Ryker), Marina Sirtis (Deanna Troi) e, come se non bastasse, uno dei personaggi di maggior successo di Voyager, Sette di Nove, interpretata da Jery Rian. Ma anche il fronte produzione non scherzava: oltre alla ovvia presenza di Alex Kurtzman, Kirsten Beyer e Akiva Goldsman, creatori della “cricca” di J.J. Abrams che con lui condividono gran parte della direzione artistica e concettuale  del nuovo Star Trek, è stato arruolato anche uno scrittore del calibro di Michael Chabon (assolutamente da leggere il suo pluripremiato Le Fantastiche Avventure di Kavalier and Clay).

Poteva andare meglio… poteva anche andare peggio però…

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Ecco la premessa in sintesi: anni dopo l’addio non troppo pacifico dell’Ammiraglio Picard dalla Flotta Stellare, un fantasma del passato torna e spinge il buon vecchio protagonista, stanco e acciaccato, ad una ricerca intergalattica che, nella migliore tradizione di Star Trek, servirà sia a risolvere un conflitto potenzialmente letale per ogni forma di vita che un tormento personale del protagonista legato alla prematura fine del rapporto fra lui e Data.

Seguono moderati spoiler:

L’idea di base è quindi buona, un vecchio Comandante idealista e cocciuto che combatte per un’ideale contro tutto e tutti, ma soprattutto contro una Federazione che sembra aver smarrito la retta via della fratellanza e solidarietà tra i popoli per ritirarsi spaventata e incapace di nuove visioni. Purtroppo però l’esecuzione lascia un po’ a desiderare, il debole dei recenti padroni di Star Trek per le scene di menare, le esplosioni rumorose, la fissa per i complotti e per i colpi di scena gratuiti e a volte incomprensibili, affogano un po’ le buone idee in un miasma confuso che mette a dura prova la logica e la coerenza della trama, per cui è delle volte necessario veramente  cercare di leggersi i riassunti delle puntate precedenti per capire perché succedono alcune cose. Di conseguenza molti personaggi mancano di sostanza, le loro motivazioni non sono mai approfondite, un po’ perché non c’è mai tempo fra un gioco di prestigio e un altro, un po’ perché effettivamente gli attori che affiancano Patrick Stewart non riescono a dare spessore e non riescono a creare quella chimica fra personaggi che invece nei migliori Star Trek era stata la forza e la sostanza stessa della serie. Basta mettere a confronto ad esempio il rapporto fra Picard e Rafi (Michelle Hurd), una coppia che dovrebbe avere un passato “pesante” (ad un certo punto lei, abbastanza gratuitamente ed estemporaneamente , gli confessa persino il suo amore) e l’unica puntata, Nepenthe, in cui Ryker, Troi e Picard si ritrovano insieme, una puntata in cui, abbandonate le mosse di Kung Fu e gli effetti speciali, si esplorano la perdita, il dolore e la memoria, regalandoci un episodio che sembra uscito da uno show di un altro livello.

The End Is The Beginning

Non aiuta che i membri della ciurma dell’equipaggio che accompagna nella sua avventura Picard, nonostante il tentativo di fornire ad ognuno una specie di storia personale che li definisca, risultano spesso bidimensionali e del tutto incidentali, con continui cambi di atteggiamento che li portano a fare tutto e il contrario di tutto, fino ad arrivare all’ultima puntata in cui il MacGuffin, l’androide Soji, e in verità un po’ tutti, oscillano in costanti giravolte attitudinali e/o caratteriali. Tralascio i Romulani, opportunamente vestiti di pelle nera, che avrebbero potuto portare una certa “gravitas” ma che si riducono spesso a cattivi da operetta,  e una 7 di 9 che, pur essendo sempre un bel vedere, è costantemente ed esclusivamente in modalità film d’azione. Dimenticavo… c’è anche uno spadaccino che forse sarebbe stato più adatto al Signore degli Anelli. In particolare il trattamento offerto ai personaggi secondari mi sembra un segno incontrovertibile che la fascinazione per Guerre Stellari del gruppo di Kurtzman e soci è sempre più evidente.

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Eppure nonostante tutto ciò delle perle emergono qui e lì, come ad esempio la già citata Nepenthe, e la forza di questa serie sta proprio nell’idea fondamentalmente trekkiana, che il credere nel bene, nel coraggio di fare a scelta più scomoda e tendere la mano al prossimo sia la scelta giusta. Gli ultimi 10 minuti, specialmente una conversazione fra Data e Picard, ci regalano Star Trek ai massimi livelli, ricordandoci che essa è una serie che ci spinge ai confini immaginari dello spazio conosciuto solo  per farci guardare meglio dentro e capire il senso della nostra umanità. Peccato… questi squarci di ciò che avrebbe potuto essere lo show, e non è stato, ci fanno arrabbiare ancora di più ma ci fanno anche sperare magari in una seconda stagione (possibilissima visto come si è chiusa la prima) in cui queste potenzialità verranno finalmente espresse.

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Le migliori serie TV del 2019 (secondo noi)

Quali sono state le serie tv che ci sono piaciute di più nel 2019? Ecco una nostra lista che ha il pregio secondo noi di avere un occhio magari un po’ più personale di tante altre e il difetto di non avere una redazione di più persone che abbia potuto guardare tutto quello che circola in tv, quindi qualcosa mancherà di sicuro.

Speriamo però che arrivi a voi lettori un qualche suggerimento utile su uno show che magari vi è sfuggito.

La lista non è assolutamente in ordine di gradimento, quindi non è una classifica.

il manifesto è tutto un programma 😉

WATCHMEN (stagione 1)

Alan Moore ha da tempo abiurato gli adattamenti delle sue opere, adducendo ragioni artistiche, economiche e, in fin dei conti, politiche del tutto condivisibili. La DC lo ha praticamente dispossessato delle sue creature più celebri e ci ha fatto quel che voleva.

Ma come dargli torto? Il film omonimo di Zach Snyder del 2009 era ovviamente un’ombra imbarazzante della Graphic Novel del bardo di Northampton che, forse dovremmo ricordarlo, è stata il primo fumetto ad entrare nella lista delle opere letterarie più importanti in lingua inglese del New York Times ed a vincere un premio Hugo.

Però non ce ne vogliano Moore e Gibson, a noi questa prima stagione di Watchmen è piaciuta e parecchio, tanto da ritenere che sia la migliore serie tv su supereroi in circolazione. La trama è un puzzle che si compie inesorabilmente puntata dopo puntata, per arrivare ad un finale perfetto in cui tutti i pezzi si ricompongono. Bravo Damon Lindelof a finalmente dare una trama compiuta e sensata ad un suo show, e smentire le critiche di sceneggiatore che mette tanta roba al fuoco per poi non saper concludere (come perdonargli il finale di Lost?).

Altri punti di forza sono il cast: c’è Regina King fresca di Grammy per Seven Seconds; colonna sonora (Atticus Ross e Trent Reznor); e poi la sceneggiatura: l’episodio This Extraordinary Being, interamente girato in bianco e nero anche contro il volere della produzione, ci regala una delle Origin Story di super eroi più belle che siano mai state descritte. Da vedere nella speranza che continui così.

Toby Jones, ah ecco chi è!

Don’t Forget the Driver

Miniserie BBC in sei puntate passata un po’ sotto il radar che però è una bella riflessione sulla solitudine e sull’immigrazione nell’Inghilterra moderna che ha il pregio di parlare di temi attuali riuscendo a non citare mai la Brexit. Anzi, la cittadina di Bognor, sulla costa meridionale inglese, sembra essere intrappolata in una specie di atemporalità e nostalgia da cui i personaggi non riescono ad uscire (vedi ad esempio che musica ascoltano i protagonisti).

Barry, interpretato dal solidissimo Toby Jones, è un padre single autista di autobus turistici incapace di esprimere i suoi sentimenti e le sue aspirazioni, l’incontro con un migrante morto e uno vivo lo costringeranno ad uscire da questo guscio.

Viene classificata come commedia ma è una delle commedie più tristi che abbia mai visto, nella migliore tradizione della tv inglese. Non mancano tuttavia momenti alla The Office (UK) e Monty Python. Insomma una sorpresa inaspettata ed una serie altamente sottovalutata.

Teenagers disadattati

Looking for Alaska

Looking for Alaska è un uno strano esperimento che potremmo riassumere così: teen drama incontra un film indie.

La serie proposta da Hulu si apre con il classico ragazzetto  bello ma imbranato, con la strana fissazione delle ultime parole di personaggi famosi, che viene spedito dai genitori ad un’esclusiva scuola in mezzo alla foresta, un incrocio tra college e campeggio, qui viene subito a contatto con le classiche rivalità fra gruppi: ci sono i nerd poveri con borsa di studio che odiano i figli di papà ricchi atleti e stronzi che stanno con le cheerleader e viceversa. Fin qui niente di nuovo, scherzi reciproci, innamoramenti, chi va al ballo con chi blah blah, se non fosse che certe riprese controluce e certi tempi lenti non quadrano e man mano la storia si trasforma in qualcos’altro che non  ti aspetti diventando una riflessione sulla perdita e la crescita.

Unico punto debole. I due protagonisti che più che tipi da gruppo dei nerd appassionati di letteratura sono i classici modelli da copertina e delle volte, almeno agli occhi di chi guarda, risultano poco credibili.

The Deuce (terza stagione)

Francamente non capiamo come è possibile che The Deuce non sia un fenomeno di successo popolare alla Breaking Bad o simili, o meglio forse lo capiamo. Parlare di pornografia, droga e AIDS non è esattamente un buon viatico per le famiglie nostrane e americane. Ma The Deuce per la terza ed ultima stagione ci regala la conclusione di un affresco bellissimo della fine di un’era, quasi un’epica di coloro che, a New York a cavallo fra anni ‘70 e ‘80, vivevano per scelta o necessità ai margini della società in quel microuniverso chiamato The Deuce, nell’attuale midtown di Manhattan che oggi è il regno dei turisti giapponesi e che all’epoca era una zona  losca e pericolosa, con i locali a luci rosse, la prostituzione i bar aperti tutta la notte. La terza stagione chiude le storie dei personaggi principali e la fine di quella New York che forse non era un posto ideale ma era un posto vero fatto da persone vere. Via quindi i vecchi cumpà mafiosi italiani da Times Square, via le case malsane, via i malati di AIDS e i locali gay, via le prostitute affinché il progresso avanzi, affinché i soldi veri facciano piazza pulita. Niente più degrado e criminalità, che però viene semplicemente spostata altrove, ma un po’ di malinconia per tutti. Grande sceneggiatura di George Pelecanus (The Wire), per gli amanti di Scorsese e co. Da non perdere.

Masturbarsi fa diventare ciechi

Sex Education (Stagione 1)

Otis, un ragazzo con la madre che fa la consulente sessuale e che è talmente imbranato e complessato tanto da essere incapace a masturbarsi, incontra una ragazza a scuola, Maeve, che ha bisogno di fare soldi. Lei ha un’idea: vista la sua esperienza indiretta con la madre e la sua evidente sensibilità e intelligenza Otis può fare consulenze sentimentali/sessuali ai compagni di scuola. Funziona.

Tutto qui, niente di speciale, ma la serie è ben scritta, i personaggi mai banali, neanche quelli secondari,  l’ambiente scolastico risulta più naturale e realistico di tanti che ci vengono proposti sul piccolo e grande schermo, infine la chimica fra i due protagonisti, con la classica relazione tipo “si metteranno insieme?”  è ben equilibrata e funziona. Meno surreale di “The End of the Fuckin’ World” pur essendo una serie teen “alternativa” si può seguire anche senza essere fan di Wes Anderson.

Grazie a questa serie inoltre capirete che Gillian Anderson è molto meglio  come attrice comica, che per me è stata una rivelazione non da poco. Netflix ha confermato una seconda stagione.

Unbelievable

Questa serie Netflix ha fatto parlare molto di sé e a buona ragione, ispirata ad eventi realmente accaduti e riportati alla luce dal bellissimo articolo “An Unbelievable Story of Rape“, scritto da T. Christian Miller and Ken Armstrong, è stata creata e sceneggiata da  Susannah Grant, Ayelet Waldman e il grande romanziere Michael Chabon (il cui Le Avventure di Kavalier e Clay si vocifera potrebbe diventare presto una serie tv).

I fatti sono ispirati ad una serie di stupri avvenuti fra gli stati Washington e Colorado fra il 2008 e il 2011 e in particolare si concentrano su una delle prime vittime, interpretata alla grande da Kaitlyn Dever e alla successiva indagine svolta con poca attenzione e professionalità che si conclude con la vittima, Marie Adler, che ritira la denuncia. Marie è una ragazza che viene da una serie di esperienze traumatiche e la sua denuncia viene considerata inaffidabile, il pregiudizio, la scarsa attenzione dimostrata per questo tipo di crimine portano in pratica la Polizia a sottovalutare il caso. Ma gli eventi si svolgono in parallelo e descrivono insieme al caso di Marie Adler anche  l’indagine che si svolge anni dopo e che, grazie all’intervento di due detective più attente e sensibili, o semplicemente migliori dei colleghi che le hanno precedute, porteranno all’arresto del pericoloso stupratore seriale. Migliore True Crime dell’anno insieme a:

I am the Night

Miniserie in sei puntate ispirata al libro di memorie One Day She’ll Darken, di Fauna Hodel.

Hodel è la figlia naturale di George Hodel, il ginecologo/artista/eccentrico il cui nome più volte ritorna nelle indagini legate ad uno degli omicidi più famigerati della storia americana, quello della Dalia Nera.

La giovane Fauna (India Eisley) è una ragazza bianca che però crede di essere nera e cresce inconsapevole della sua vera identità e di chi siano i suoi veri genitori nell’America degli anni ’50 provinciale e razzista, finché un giorno scopre di essere in realtà figlia del misterioso jetsetter californiano George Hodel, ricco e chiacchierato mecenate artista che si circonda di una bizzarra e disturbante corte dei miracoli e coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Elisabeth Short, ribattezzata dai tabloid dell’epoca la Dalia Nera. Respinte le sue richieste di chiarezza da parte dell’interessato, Fauna comincia ad indagare sul suo passato aiutata dal giornalista Jay Singletary, interpretato da Chris Pine, ma man mano che si avvicina alla verità si mette sempre più in pericolo.

Toni da hard boiled e inevitabili riferimenti a Ellroy,  festini eccentrici, incesti e assassini perversi nell’ombra. Come perderselo?

The mandalor… ah no.
The Mandalor… ah neppure
The Mandalorian!

The Mandalorian

The Mandalorian è una serie in 8 puntate ambientata nell’universo di Guerre Stellari e, per chi scrive, è la cosa migliore del franchising  uscita negli ultimi anni. La dilatazione dei tempi e la possibilità di lasciar respirare l’arco narrativo permettono a questa saga stellare di uscire dal solito luogo comune robot- esplosioni – mostriciattoli, con toni da videogioco anni ‘80 tipico dei film di Lucas, mescolando bene azione, spettacolo e caratterizzazione dei personaggi ed è inoltre girata con una qualità quasi cinematografica. Ambientata qualche anno dopo la fine della trilogia originaria The Mandalorian altro non è che un western vecchia maniera con il cowboy eroe solitario di frontiera, che fa il cacciatore di taglie, ma che sulla sua strada incontrerà un piccolo Yoda e si scontrerà con nostalgici contro-rivoluzionari che tramano affinché la Repubblica, che non sembra particolarmente entusiasmante, cada. Da non perdere anche se non amate Guerre Stellari.

Gentleman Jack

L’eccellente Sally Wainwright, dopo il bellissimo Happy Valley, torna nel nativo Yorkshire per raccontarci però una storia vittoriana ispirata ai diari di Anne Lister, donna di famiglia benestante che, in un periodo in cui il massimo del femminismo è Orgoglio e Pregiudizio (che è già qualcosa), invece di aspettare il principe azzurro si dà da fare per gestire le miniere di famiglia e contrastare i prepotenti di turno senza mai farsi mettere i piedi in testa destreggiandosi intanto anche nella sua vita sentimentale e facendo strage di cuori, di altre donne. Anne Lister infatti non nasconde le sue inclinazioni omosessuali che non diventano scandalo aperto nella sua cerchia sociale solo perché il suo essere una personalità formidabile la pone ambiguamente al di sopra delle convenzioni accettate dalla rigida campagna inglese del XIX secolo, anche se non sempre tutto fila liscio.

Il risultato è un brillante feuilleton avventuroso sentimentale che ricorda molto Poldark ma che è recitato molto meglio e si prende meno sul serio.

Da menzionare poi velocemente:

What We Do in the Shadows: Il brillante film parodia omonimo di Taika Waititi del 2014 è stato adattato a serie tv. Un mockumentary horror comedy con momenti esilaranti.

Brooklyn Nine-Nine: provateci voi a fare una sitcom che funziona per 10 stagioni.

Blue Bloods: il repubblicano che è in me pensa che sia il migliore cop-show in circolazione.

The Virtues: non è This is England, ma è sempre Shane Meadows ed il solito grande Stephen Graham.

The Spy: per chi attende con ansia Homeland, una spy story ispirata ad una vicenda vera, in cui Sacha Baron Cohen dimostra di essere un grandissimo attore.

Star Trek Discovery? Meglio The Orville.

Ora che è finita la prima stagione di Star Trek: Discovery è tempo di bilanci.

Erano anni che appassionati trekkari e non, aspettavano un ritorno sul piccolo schermo della serie iconica e finalmente CBS si è decisa a produrre uno show di 15 puntate. L’eccitazione per una nuova stagione di Star Trek  nell’epoca forse migliore della tv episodica è stata evidente sin dall’inizio, i produttori promettevano un livello narrativo all’altezza di Game of Thrones o Breaking Bad, un romanzone complesso e adulto molto ambizioso.

Devo ammettere che il fatto che Alex Kurtzman fosse fra i creatori però non prometteva benissimo, Kurtzman appartiene alla scuderia di JJ Abrahams e compagni, uno dei gruppi di sceneggiatori più sopravvalutati del momento, l’uscita anticipata dal gruppo di produttori di Byran Fuller, che decideva di dedicarsi di più ad American Gods, poi non prometteva bene.

Eppure, come migliaia di patiti di Star Trek, ho aspettato fiducioso l’inizio della serie: dopo i primi due episodi mi sono detto, “vabbé diamo tempo di carburare”, poi  dopo il mid-season finale  mi sono detto “vediamo dove vuole andare a parare”. Con il finale di stagione quelli che erano dubbi sono diventate delusioni conclamate.

Attenzione (seguono spoilier)

ST:D non è un cattivo show di fantascienza, è una serie di SF piuttosto mediocre  con buoni momenti qui e lì, ma è decisamente un pessimo show di Star Trek.

Non voglio nemmeno entrare nella polemica tra fan tradizionalisti e non, che litigano sui blog e forum da mesi sulla totale incoerenza di ambientare la storia 10 anni prima della serie originale per praticamente presentare un universo totalmente diverso da quello tradizionale. Di solito, Abrahams, Orci, Kurtzman e soci risolvono queste questioni inventandosi una dimensione alternativa, qui non si sono neanche degnati di ricorrere a questo trito trucchetto da quattro soldi (in parte…).

Il problema più grande di Star Trek: Discovery, è un altro, un’enorme superficialità di trama, tutta basata su soluzioni e colpi di scena che sembrano forzati e mai adeguatamente maturati nel corso della narrazione: un ammiraglio nel corso di una sola puntata può passare dal tentato genocidio di un pianeta ad appuntare medaglie su coloro che lo hanno sventato, con relativa sviolinata di una retorica francamente imbarazzante, per contenuti e metodo di presentazione filmica. Si può risolvere una guerra interplanetaria come niente fosse o come se non fosse mai avvenuta con un drone  e andare sul pianeta Klingon in piena guerra con nessuno che si fa problemi. Un personaggio può essere mezzo Klingon e mezzo umano senza mai farci capire effettivamente come tale fusione sia potuta accadere. Personaggi vengono uccisi ” a buffo” altri resuscitati a forza grazie a… indovinate… gli universi alternativi. In generale la tempistica e lo sviluppo della narrazione sembrano sempre goffi e rallentati in  alcuni punti per poi essere frettolosamente chiusi in altri. Fra esplosioni e colpi di scena sembra di stare in un film di Michael Bay che dura 15 ore.

Klingon????

L’altro grande problema relativo alla serie, sembra la scarsa profondità di caratterizzazione dei personaggi. Di solito la tecnica è quella di caratterizzarli fortemente i primi 10 minuti che vengono presentati al pubblico, e poi ogni coerenza tende a sfilacciarsi per adattarsi a qualsiasi situazione gli sceneggiatori abbiano inventato, questo vale per Sarek, che alla fine dello show sorride, tocca e scherza con la sua figlioccia come un umano qualsiasi oppure per la cadetta Silvia Tilly, che alla 4 puntata forse dimentica di avere disturbi di personalità e diventa una specie di simpatica nerd al college e, a parte Saru (l’unico personaggio con un certo spessore), dimenticate il tradizionale approccio collettivo alla narrazione, pieno di sottotrame e caratterizzazioni dei personaggi “minori”, questo Star Trek: Discovery non ha tempo per questo, è troppo impegnato a sconfiggere Imperi in universi alternativi nel giro di tre puntate, viaggiare nello spazio tempo con fantomatiche spore in due puntate e vincere guerre galattiche in una.

Infine, poi onestamente Sonequa Martin-Green non è che sia il massimo della recitazione, quando in particolare (in lingua originale) comincia a bisbigliare invece di parlare l’ammazzerei con la Bath-Leth. Nel cast, gli unici degni di nota mi sembrano Doug Jones e Rainn Wilson (nei panni di Harry Mudd, l’unico bagliore di luce in un panorama narrativo molto grigio).

Un gruppo di produttori mediocri e senza idee si è praticamente appropriato con l’inganno di una nave della Federazione, cercando di convincerci che la modernità e il futuro sono più stupidi e superficiali del presente, esattamente il contrario di tutto ciò che l’universo di Star Trek ha sempre rappresentato. Francamente se avete voglia di Star Trek guardate The Orville, una vera e propria lezione di scrittura intelligente e non presuntuosa.

Continuum: ci sarà una quarta ed ultima stagione di sei episodi

Ogni volta che una serie (o un film se è per questo) si avventura nel territorio minato dei viaggi nel tempo si finisce sempre con il rischio di incasinare la trama fino all’assurdo.

Continuum, pur avendo più volte sfiorato questo rischio, è uno show che è sempre riuscito a camminare relativamente indenne sul filo del rasoio, spostando l’attenzione dal paradosso spazio-tempo alla dinamica interpersonale dei vari protagonisti. Permettendo così di farci dimenticare le notevoli incongruenze della storia.

Evidentemente però la Syfy ha saggiamente pensato di arrivare a conclusione della storia del detective Keira Cameron con la quarta e ultima stagione di 6 episodi prima che le cose diventino da “complicate” a “ridicole e incomprensibili”.

Continuum racconta la storia una poliziotta del 2077 che, per caso (o no?), si ritrova sbalzata all’indietro nel tempo , al nostro presente. Qui, in coppia col detective Carlos Fonnegra, lavora su due priorità: combattere contro il nascente gruppo terroristico che nel futuro infliggerà uno dei maggiori colpi al cuore del sistema, e tornare dalla sua famiglia nel futuro.

WOW! Batman: la serie completa del '66 finalmente in DVD

Da sempre il Batman del 1966 interpretato da Adam West è stato considerato un momento iconico per il personaggio DC ma anche una bizzarria che sembra uscire del tutto dalla tradizione del personaggio.
Pur avendo aiutato a definire Batman come una delle più popolari figure dell’immaginario supereroistico moderno, la serie anni ’60, con i suoi ‘pow’, ‘slam’, ‘crash’, fumettisticamente superimposti alle immagini, i suoi colori sgargianti, la sua ironia kitsch e ammiccante si impone come un esempio di rara irriverenza.
Chi ama il Cavaliere Oscuro di Nolan, un po’ psicopatico e cupo, oppure quello più violento e fascistoide di Miller, non apprezzerà la gioia psichedelica e clownesca dello show della ABC, ma tutti gli altri amano il Batman di Adam West, poiché gli autori dovendo fare un telefilm per ragazzi finirono con fare una specie di B- movie lungo tre anni, con azione, pinup fantastiche, cattivi memorabili (Eggman di Vincent Price chi se lo ricorda?) e battute autoironiche. Fu come se Batman fosse reinterpretato da Tarantino o dalla Troma in un impossibile quanto immaginario mashup temporale.
Adesso un grande torto fatto a questa serie sta per essere rettificato. La Warner ha finalmente prodotto un megacofanetto di 18 dvd con tutta la serie completa e contenuti speciali. Per il momento è solo in inglese con sottotitoli in inglese, francese e spagnolo, ma questo lascia ben sperare per un’eventuale futura edizione italiana. Il prezzo di Batman: the complete television series si aggira intorno ai 150 euro ed è acquistabile qui, non è proprio un acquisto a buon mercato, ma si tratta del documento al momento più completo sulla triennale epopea di West, Burt Ward e Ivonne Craig.
Vi lascio con la versione più bella mai fatta della sigla classica, nanananananana Baaatman! You’re welcome.

Lucca Comics e serie tv: qualcosa sta cambiando?

Molti miei amici appassionati di fumetti e serie tv , hanno sempre lamentato l’assenza in Italia di qualcosa anche lontanamente paragonabile ai vari Comic-Con americani, soprattutto quello più celebre di San Diego, diventato con il passare degli anni una vera e propria tappa obbligata di attori e produzioni di serie tv d’oltreoceano, tanto da vedere alcune serie (come per esempio Sons of Anarchy) produrre dei fumetti ispirati allo show in modo da poter imbucarsi come panel.

In Italia, i nostri vari appuntamenti simili (che poi sono Lucca Comics and Games e Romics) sono ancora saldamente legati al mondo dei fumetti (manga e italiani principalmente) e poco agli show televisivi. Ma qualcosa sta cambiando. È giunto qualche giorno fa in redazione un invito ad un incontro ad un panel su Continuum che si terrà durante il Lucca Comics il primo novembre alle ore 12.00 con un momento dedicato ai fan dello show, che potranno incontrare Victor Webster, il Detective Carlos Fonnegra nella serie, presso l’auditorium San Giuseppe per una sessione di autografi e photo opportunity. Alle 15.00 presso il Cinema Centrale avrà luogo poi l’anteprima assoluta della terza stagione di Continuum, introdotta dallo stesso Webster, che infine incontrerà la stampa alle 16.30 presso Palazzo Orsetti.

Non è la prima volta che la manifestazione toscana si occupa di serie tv e film per “fanboy”, anche quest’anno ci saranno panels dedicati a Gotham e al film Guardians of the Galaxy che ha sbaragliato i botteghini a stelle e strisce ma che in Italia è inspiegabilmente arrivato in sordina, come se non fosse una megaproduzione Marvel (mah… poi fra 10 anni lo definiranno film cult in qualche programma in terza serata).

Quest’anno però, anche grazie all’interessamento del canale AXN  che trasmette Continuum in esclusiva, avremo un vero e proprio panel con tanto di attore di una serie tv sci-fi e “meet and greet” con i fan. Certo, con tutto il rispetto, Webster non è Tricia Helfer, ma è un buon inizio, magari se siamo fortunati gli anni prossimi questi eventi si moltiplicheranno e potremmo anche noi avere un piccolo Comic-Con nazionale.

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Powers: ormai le serie tv sono anche su Play Station

Nell’ottica dell’intrattenimento totale, la Sony ha deciso di fare 2+2, ovvero di produrre una serie e invece di venderla, come fa di solito, di autodistribuirla sul suo prodotto di maggiore successo: la Play Station (4). Con le recenti manovre delle varie compagnie del piccolo e grande schermo e grazie alla crescente popolarità della narrazione telefilmica, non c’è quasi più spazio dove questo format non sia penetrato e, anche in questo caso, la formula con la quale sembra sposarsi al meglio è quella del fumetto.

In effetti la serie Powers è proprio tratta da un titolo della Image Comics creato da Brian Michael Bendis, che viene descritta come un incrocio fra fantascienza, noir e procedurale:

La serie è ambientata in un mondo in cui i supereroi esistono ma non sono sempre presenti. I protagonisti sono due detective, Christian Walker e Deena Pilgrim, agenti di polizia in un dipartimento della omicidi che si occupa di casi riguardanti i “poteri” Walker era anch’egli un supereroe, chiamato Diamond, ma divenne un agente di polizia dopo aver perso i propri poteri (sinossi da wikipedia).

 

Powers sarà disponibile però (a quel che capisco) solo nel circuito americano della Play Station, mentre la serie all’estero sarà venduta attraverso in normali canali commerciali. In attesa di capirne la disppowersonibilità in Italia, eccovi il trailer presentato al NY ComicCon:

 

Lost in Space: dopo 50 anni il remake del cult sci-fi

La serie americana  cult Lost in Space è stata una dei capisaldi della fantascienza in chiave pop ed è ormai considerato un classico della televisione. Lo show, creato da Irwin Allen nel 1965, era ambientata nell’allora futuro 1997 e ruotava intorno a un tentativo degli Stati Uniti di colonizzare lo spazio profondo con l’invio di una sola famiglia scelta fra 2 milioni di aspiranti, i Robinson, in un viaggio di 5 anni e mezzo verso un altro pianeta nella galassia Alpha Centauri, ma un agente segreto straniero, il Dr. Zachary Smith, sabota la missione, costringendo la nave a virare fuori rotta e perdersi nello spazio, una delle più importanti figure della storia della TV è proprio quella del Dott. Smith, che da cattivone “classico” diviene un personaggio sempre più complesso, affascinante e sfumato, il padre di tutti i cattivi moderni dei telefilm. La serie originale in onda sulla CBS per tre stagioni finì la sua corsa dopo 83 episodi per la solita combinazione deletaria di abbassamento del rating spettatori e aumento dei costi di produzione.

Foto da www.meredith.com
Foto da http://www.meredy.com

Matt Sazama e Burk Sharpless, che hanno sceneggiato Dracula Untold , saranno scirttori e produttori dell’adattamento di Lost in Space che potrebbe vedere la vita già nel 2015. Anche se sono circa 15 anni che si parla di questo remake, adesso pare che sia la volta buona, vedremo cosa ne uscirà fuori e se varrà la pena seguirla.

Approfitto per passare la sigla originale, scritta da tale John  Williams che firmò poi la colonna sonora della più famosa space opera di tutti i tempi… vi do un indizio, c’erano gli Jedi…

New Angeles con Keanu Reeves… praticamente Matrix in TV

La Slingshot Global Media sta sviluppando una serie fantascientifica intitolata New Angeles con protagonista Keanu Reeves e regista e produttore Roland Emmerich (Independence Day, Stargate, White House Down).
New Angeles sarà ambientata nel futuro e avrà come personaggio pricipale un uomo (Reeves) che sfugge alla realtà entrando in un eccitante mondo virtuale chiamato, appunto, New Angeles. Una volta in questo luogo, il protagonista assume una nuova identità, divenendo la prpersona che era destinato ad essere e risovendo um mistero che avrà concrete comseguenze sulla sua vita reale e la sua famiglia. Insomma quasi Matrix, non è che stiamo sfuazzando nell’originalità.
Bisogna sol vedere se Roland Emmerich, che ha in ballo un reboot di Stargate e poi un sequel di Independence Day, sarà disponibile a lavorare a pieno tempo su questo progetto.

Le serie TV sono i nuovi fumetti? (… e il nuovo cinema?)

Il fenomeno è ormai difficile da ignorare: Arrow, Flash, Constantine, Gotham, in preparazione abbiamo Supergirl (si spera che non abbia le fattezze anoressiche del fumetto) e il nuovo progetto Titans per quel che riguarda la DC, mentre abbiamo MARVEL Agents of SHIELD , Daredevil, Luke Cage e Agent Carter per la Marvel, per non parlare di altre serie tratte da fumetti pubblicati da altre case editrici minori, uno su tutti… the Walking Dead. La tv, che aveva incrociato le sue strade con i fumetti con moderazione in passato, ricordiamo gli storici Batman, Hulk e Wonder Woman e più recentemente Smallville, sta per essere invasa dagli eroi in costume che hanno accompagnato l’infanzia e in qualche caso anche l’adolescenza di alcuni di noi, anzi tale invasione è bella che incominciata.

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I FUMETTI AL CINEMA
Ma cosa è cambiato negli ultimi anni? Quali potrebbero essere le ragioni di questa scelta dei network di dare più spazio ai supereroi in tv?
I motivi potrebbero essere tanti, uno per cominciare è sicuramente il successo cinematografico sempre maggiore dei franchise come I Vendicatori, Iron Man, il consolidato Batman, X-Men, Thor, Capitan America, L’uomo Ragno ecc., che non solo hanno allargato l’audience di questo genere ma anche attratto attori, registi e sceneggiatori di una certa qualità, andando senza dubbio a migliorare il livello dei film di supereroi. Whedon, Nolan, Snyder sono solo alcuni esempi ma la lista è lunga.
La tendenza poi è stata di passare, al cinema, da semplici trilogie a veri e propri intrecci e crossover (Vendicatori, Thor, Capitan America) che addirittura si intersecano con le serie tv (Agents of SHIELD è un esempio classico), si utilizzano archi narrativi famosi (X-men Days of the Future Past) o in altri casi in veri e propri reboot, più o meno riusciti, come  nel caso de L’uomo Ragno o Superman.
Insomma anche in video si cominciano a sviluppare le stesse tecniche narrative che si sono sperimentate sulla carta stampata.

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BAMBINI CRESCIUTI
Forse l’anagrafica centra, molti degli attuali produttori e showrunner sono stati grandi consumatori di fumetti negli anni ’60 e ’70 e così come anche il segmento anagrafico che gli inserzionisti pubblicitari sembrano prediligere, ovvero i 40enni. L’altro segmento anagrafico è proprio quello degli adolescenti che, si sa, sono i destinatari ufficiali delle storie di eroi e eroine in costume. Raggiungere padri e figli con un unico prodotto utilizzando una studiata tempistica generazionale avrebbe senso. Tale eventuale strategia potrebbe giustificare l’invasione dei fumetti che la tv sta sperimentando e risponderebbe alla domanda perché tanti e perché proprio ora?

CONCENTRAZIONE EDITORIALE
Un’altra risposta a questa domanda potrebbe essere che proprio il successo cinematografico ha spinto investitori a credere in progetti che negli anni ’90 venivano accantonati. Disney e Warner hanno comprato praticamente il comprabile e possono fare soldi dal cinema, dal merchandising e dagli show che possono sia produrre che distribuire. Non sarà sfuggito a nessuno quell’enorme intreccio commerciale fra telefilm e fumetti e orgia consumistica che sono diventate le convention come il Comic-Con. Certo non vi è dubbio che stiamo anche vivendo una seconda età dell’oro delle serie tv e spesso le sceneggiature e i soggetti interessanti si fa fatica a trovarne. I fumetti sono una delle fonti narrative più ricche e variegate degli ultimi 50 anni, una vera e propria miniera di storie inesplorate, quindi… Battiamo il ferro finché è caldo e gratis per noi… sembrano pensare i pezzi grossi di Warner e Disney che possiedono i diritti dei personaggi.

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Un’ultima considerazione: in un mondo complesso diviene sempre più difficile narrare in un’ora e mezza o due una storia. Quindi le storie cominciano a strabordare, diventano ergodiche, rispondendo all’esigenza di attrarre pubblico che vuole essere intrattenuto in fretta ma può permettersi di approfondire tutto (vedi internet), in altre parole le serie tv stanno diventando sempre più dei lunghissimi film, perdendo la caratterizzazione episodica, mentre il cinema sta sempre più serializzandosi.
In quanto appassionati di telefilm, la cosa non ci dispiace, anzi la troviamo bella e interessante, speriamo solo che si evitino gli errori fatti nell’universo narrativo del fumetto, in cui un’eccessiva ricerca del cliffhanger, della vendita e della spettacolarizzazione hanno portato a confondere, intrecciare, uccidere e resuscitare, sdoppiare, multiversare all’eccesso, facendo perdere alle storie e ai personaggi la loro bellezza e interesse. Speriamo non sia così per gli show in tv e che riescano a imparare dagli errori del passato per regalarci altre belle storie nel futuro.

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