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Le migliori serie TV del 2019 (secondo noi)

Quali sono state le serie tv che ci sono piaciute di più nel 2019? Ecco una nostra lista che ha il pregio secondo noi di avere un occhio magari un po’ più personale di tante altre e il difetto di non avere una redazione di più persone che abbia potuto guardare tutto quello che circola in tv, quindi qualcosa mancherà di sicuro.

Speriamo però che arrivi a voi lettori un qualche suggerimento utile su uno show che magari vi è sfuggito.

La lista non è assolutamente in ordine di gradimento, quindi non è una classifica.

il manifesto è tutto un programma 😉

WATCHMEN (stagione 1)

Alan Moore ha da tempo abiurato gli adattamenti delle sue opere, adducendo ragioni artistiche, economiche e, in fin dei conti, politiche del tutto condivisibili. La DC lo ha praticamente dispossessato delle sue creature più celebri e ci ha fatto quel che voleva.

Ma come dargli torto? Il film omonimo di Zach Snyder del 2009 era ovviamente un’ombra imbarazzante della Graphic Novel del bardo di Northampton che, forse dovremmo ricordarlo, è stata il primo fumetto ad entrare nella lista delle opere letterarie più importanti in lingua inglese del New York Times ed a vincere un premio Hugo.

Però non ce ne vogliano Moore e Gibson, a noi questa prima stagione di Watchmen è piaciuta e parecchio, tanto da ritenere che sia la migliore serie tv su supereroi in circolazione. La trama è un puzzle che si compie inesorabilmente puntata dopo puntata, per arrivare ad un finale perfetto in cui tutti i pezzi si ricompongono. Bravo Damon Lindelof a finalmente dare una trama compiuta e sensata ad un suo show, e smentire le critiche di sceneggiatore che mette tanta roba al fuoco per poi non saper concludere (come perdonargli il finale di Lost?).

Altri punti di forza sono il cast: c’è Regina King fresca di Grammy per Seven Seconds; colonna sonora (Atticus Ross e Trent Reznor); e poi la sceneggiatura: l’episodio This Extraordinary Being, interamente girato in bianco e nero anche contro il volere della produzione, ci regala una delle Origin Story di super eroi più belle che siano mai state descritte. Da vedere nella speranza che continui così.

Toby Jones, ah ecco chi è!

Don’t Forget the Driver

Miniserie BBC in sei puntate passata un po’ sotto il radar che però è una bella riflessione sulla solitudine e sull’immigrazione nell’Inghilterra moderna che ha il pregio di parlare di temi attuali riuscendo a non citare mai la Brexit. Anzi, la cittadina di Bognor, sulla costa meridionale inglese, sembra essere intrappolata in una specie di atemporalità e nostalgia da cui i personaggi non riescono ad uscire (vedi ad esempio che musica ascoltano i protagonisti).

Barry, interpretato dal solidissimo Toby Jones, è un padre single autista di autobus turistici incapace di esprimere i suoi sentimenti e le sue aspirazioni, l’incontro con un migrante morto e uno vivo lo costringeranno ad uscire da questo guscio.

Viene classificata come commedia ma è una delle commedie più tristi che abbia mai visto, nella migliore tradizione della tv inglese. Non mancano tuttavia momenti alla The Office (UK) e Monty Python. Insomma una sorpresa inaspettata ed una serie altamente sottovalutata.

Teenagers disadattati

Looking for Alaska

Looking for Alaska è un uno strano esperimento che potremmo riassumere così: teen drama incontra un film indie.

La serie proposta da Hulu si apre con il classico ragazzetto  bello ma imbranato, con la strana fissazione delle ultime parole di personaggi famosi, che viene spedito dai genitori ad un’esclusiva scuola in mezzo alla foresta, un incrocio tra college e campeggio, qui viene subito a contatto con le classiche rivalità fra gruppi: ci sono i nerd poveri con borsa di studio che odiano i figli di papà ricchi atleti e stronzi che stanno con le cheerleader e viceversa. Fin qui niente di nuovo, scherzi reciproci, innamoramenti, chi va al ballo con chi blah blah, se non fosse che certe riprese controluce e certi tempi lenti non quadrano e man mano la storia si trasforma in qualcos’altro che non  ti aspetti diventando una riflessione sulla perdita e la crescita.

Unico punto debole. I due protagonisti che più che tipi da gruppo dei nerd appassionati di letteratura sono i classici modelli da copertina e delle volte, almeno agli occhi di chi guarda, risultano poco credibili.

The Deuce (terza stagione)

Francamente non capiamo come è possibile che The Deuce non sia un fenomeno di successo popolare alla Breaking Bad o simili, o meglio forse lo capiamo. Parlare di pornografia, droga e AIDS non è esattamente un buon viatico per le famiglie nostrane e americane. Ma The Deuce per la terza ed ultima stagione ci regala la conclusione di un affresco bellissimo della fine di un’era, quasi un’epica di coloro che, a New York a cavallo fra anni ‘70 e ‘80, vivevano per scelta o necessità ai margini della società in quel microuniverso chiamato The Deuce, nell’attuale midtown di Manhattan che oggi è il regno dei turisti giapponesi e che all’epoca era una zona  losca e pericolosa, con i locali a luci rosse, la prostituzione i bar aperti tutta la notte. La terza stagione chiude le storie dei personaggi principali e la fine di quella New York che forse non era un posto ideale ma era un posto vero fatto da persone vere. Via quindi i vecchi cumpà mafiosi italiani da Times Square, via le case malsane, via i malati di AIDS e i locali gay, via le prostitute affinché il progresso avanzi, affinché i soldi veri facciano piazza pulita. Niente più degrado e criminalità, che però viene semplicemente spostata altrove, ma un po’ di malinconia per tutti. Grande sceneggiatura di George Pelecanus (The Wire), per gli amanti di Scorsese e co. Da non perdere.

Masturbarsi fa diventare ciechi

Sex Education (Stagione 1)

Otis, un ragazzo con la madre che fa la consulente sessuale e che è talmente imbranato e complessato tanto da essere incapace a masturbarsi, incontra una ragazza a scuola, Maeve, che ha bisogno di fare soldi. Lei ha un’idea: vista la sua esperienza indiretta con la madre e la sua evidente sensibilità e intelligenza Otis può fare consulenze sentimentali/sessuali ai compagni di scuola. Funziona.

Tutto qui, niente di speciale, ma la serie è ben scritta, i personaggi mai banali, neanche quelli secondari,  l’ambiente scolastico risulta più naturale e realistico di tanti che ci vengono proposti sul piccolo e grande schermo, infine la chimica fra i due protagonisti, con la classica relazione tipo “si metteranno insieme?”  è ben equilibrata e funziona. Meno surreale di “The End of the Fuckin’ World” pur essendo una serie teen “alternativa” si può seguire anche senza essere fan di Wes Anderson.

Grazie a questa serie inoltre capirete che Gillian Anderson è molto meglio  come attrice comica, che per me è stata una rivelazione non da poco. Netflix ha confermato una seconda stagione.

Unbelievable

Questa serie Netflix ha fatto parlare molto di sé e a buona ragione, ispirata ad eventi realmente accaduti e riportati alla luce dal bellissimo articolo “An Unbelievable Story of Rape“, scritto da T. Christian Miller and Ken Armstrong, è stata creata e sceneggiata da  Susannah Grant, Ayelet Waldman e il grande romanziere Michael Chabon (il cui Le Avventure di Kavalier e Clay si vocifera potrebbe diventare presto una serie tv).

I fatti sono ispirati ad una serie di stupri avvenuti fra gli stati Washington e Colorado fra il 2008 e il 2011 e in particolare si concentrano su una delle prime vittime, interpretata alla grande da Kaitlyn Dever e alla successiva indagine svolta con poca attenzione e professionalità che si conclude con la vittima, Marie Adler, che ritira la denuncia. Marie è una ragazza che viene da una serie di esperienze traumatiche e la sua denuncia viene considerata inaffidabile, il pregiudizio, la scarsa attenzione dimostrata per questo tipo di crimine portano in pratica la Polizia a sottovalutare il caso. Ma gli eventi si svolgono in parallelo e descrivono insieme al caso di Marie Adler anche  l’indagine che si svolge anni dopo e che, grazie all’intervento di due detective più attente e sensibili, o semplicemente migliori dei colleghi che le hanno precedute, porteranno all’arresto del pericoloso stupratore seriale. Migliore True Crime dell’anno insieme a:

I am the Night

Miniserie in sei puntate ispirata al libro di memorie One Day She’ll Darken, di Fauna Hodel.

Hodel è la figlia naturale di George Hodel, il ginecologo/artista/eccentrico il cui nome più volte ritorna nelle indagini legate ad uno degli omicidi più famigerati della storia americana, quello della Dalia Nera.

La giovane Fauna (India Eisley) è una ragazza bianca che però crede di essere nera e cresce inconsapevole della sua vera identità e di chi siano i suoi veri genitori nell’America degli anni ’50 provinciale e razzista, finché un giorno scopre di essere in realtà figlia del misterioso jetsetter californiano George Hodel, ricco e chiacchierato mecenate artista che si circonda di una bizzarra e disturbante corte dei miracoli e coinvolto nelle indagini sull’omicidio di Elisabeth Short, ribattezzata dai tabloid dell’epoca la Dalia Nera. Respinte le sue richieste di chiarezza da parte dell’interessato, Fauna comincia ad indagare sul suo passato aiutata dal giornalista Jay Singletary, interpretato da Chris Pine, ma man mano che si avvicina alla verità si mette sempre più in pericolo.

Toni da hard boiled e inevitabili riferimenti a Ellroy,  festini eccentrici, incesti e assassini perversi nell’ombra. Come perderselo?

The mandalor… ah no.
The Mandalor… ah neppure
The Mandalorian!

The Mandalorian

The Mandalorian è una serie in 8 puntate ambientata nell’universo di Guerre Stellari e, per chi scrive, è la cosa migliore del franchising  uscita negli ultimi anni. La dilatazione dei tempi e la possibilità di lasciar respirare l’arco narrativo permettono a questa saga stellare di uscire dal solito luogo comune robot- esplosioni – mostriciattoli, con toni da videogioco anni ‘80 tipico dei film di Lucas, mescolando bene azione, spettacolo e caratterizzazione dei personaggi ed è inoltre girata con una qualità quasi cinematografica. Ambientata qualche anno dopo la fine della trilogia originaria The Mandalorian altro non è che un western vecchia maniera con il cowboy eroe solitario di frontiera, che fa il cacciatore di taglie, ma che sulla sua strada incontrerà un piccolo Yoda e si scontrerà con nostalgici contro-rivoluzionari che tramano affinché la Repubblica, che non sembra particolarmente entusiasmante, cada. Da non perdere anche se non amate Guerre Stellari.

Gentleman Jack

L’eccellente Sally Wainwright, dopo il bellissimo Happy Valley, torna nel nativo Yorkshire per raccontarci però una storia vittoriana ispirata ai diari di Anne Lister, donna di famiglia benestante che, in un periodo in cui il massimo del femminismo è Orgoglio e Pregiudizio (che è già qualcosa), invece di aspettare il principe azzurro si dà da fare per gestire le miniere di famiglia e contrastare i prepotenti di turno senza mai farsi mettere i piedi in testa destreggiandosi intanto anche nella sua vita sentimentale e facendo strage di cuori, di altre donne. Anne Lister infatti non nasconde le sue inclinazioni omosessuali che non diventano scandalo aperto nella sua cerchia sociale solo perché il suo essere una personalità formidabile la pone ambiguamente al di sopra delle convenzioni accettate dalla rigida campagna inglese del XIX secolo, anche se non sempre tutto fila liscio.

Il risultato è un brillante feuilleton avventuroso sentimentale che ricorda molto Poldark ma che è recitato molto meglio e si prende meno sul serio.

Da menzionare poi velocemente:

What We Do in the Shadows: Il brillante film parodia omonimo di Taika Waititi del 2014 è stato adattato a serie tv. Un mockumentary horror comedy con momenti esilaranti.

Brooklyn Nine-Nine: provateci voi a fare una sitcom che funziona per 10 stagioni.

Blue Bloods: il repubblicano che è in me pensa che sia il migliore cop-show in circolazione.

The Virtues: non è This is England, ma è sempre Shane Meadows ed il solito grande Stephen Graham.

The Spy: per chi attende con ansia Homeland, una spy story ispirata ad una vicenda vera, in cui Sacha Baron Cohen dimostra di essere un grandissimo attore.

Tre Mogli per un Papà: RAI, ma che combini?

Dal primo dicembre 2014 nella fascia dalle 8.10 alle 8.40 di RAI 3 va in onda una sitcom americana dal titolo Tre Mogli per un Papà, in originale Trophy Wife.

Ecco una sinossi sintetica tratta da wikipedia dello show:

La serie segue le vicende di Kate, una giovane e attraente donna recentemente sposatasi con Pete, il quale aveva già tre figli avuti da due diversi matrimoni. La donna, abbandonata una vita di frivolezze e divertimenti, prova quindi ad essere una madre a tempo pieno, costretta anche a gestire le ex mogli del marito, Diane e Jackie.

Pur se a prima vista la sitcom sembra la classica commedia degli errori un po’ piccante, gli sceneggiatori da subito hanno messo in chiaro che il titolo Trophy Wife (che in America si dà a quelle bellone che si mettono con un uomo attempato e ricco, appunto Mogli Trofeo) era ironico e la serie si concentrava più sul menage familiare dei sobborghi americani.

La serie è dignitosa anche se non fa ridere, il che per una sitcom è grave. La ABC infatti la ritirata dopo la prima stagione di 22 episodi.
Niente paura, ecco che arriva la RAI e la compra, per poi realizzare che non sa che farci.
Quindi ha ben pensato di piazzarla in questa fascia serale per circa un mese (e poi che succederà?), da tempo una specie di buco nero nel quale schiaffare tutti gli scarti della rete.
Queste scelte della nostra tv nazionale lasciano infatti sempre più perplessi. Perché piazzare lì questa sitcom e non mandarla su RAI 4, sua destinazione ‘naturale’? Possibile che non si sappia mai cosa mettere in questa parte del palinsesto che precede l’Eastenders di casa nostra, ovvero Un Posto Al Sole? Possibile che l’unica cosa semidecente e coerente messa lì fu Agrodolce? Che però si rivelo un inguacchio e coacervo di raccomandazioni, soldi pubblici spesi a palate e lavoro dato ad amici degli amici?

Forse a dirigere le tv servono i vari Freccero o Voglino, cioè gente che abbia una visione e un’idea precisa di quello che si fa in tv, piuttosto che oscuri seppur validi giornalisti le cui trasmissioni spesso hanno chiuso per mancanza di ascolti… Ma si sa, il mondo va all’incontrario.

Sitcom e Commedie in tv: è sempre più crisi?

Gli ultimi due anni il compartimento sitcom americano ha fatto vittime eccellenti, sono state segate una dozzina almeno di serie tv comiche, The Crazy Ones, The Michael J. fox Show, Suburgatory,The Millers, Non fidarti della Stronza dell’Appartamento 23, Bad Judge, Selfie… Solo per nominare i progetti più importanti e con attori di un certo richiamo. Sotto la scure dei conti che non tornavano sono caduti personaggi come Michael J. Fox, Robin Williams, Beau Bridges, Kirsten Ritter, Karen Gillian e la lista continua.
Di certo il genere non è sottorappresentato nei palinsesti, ma alla abbuffata di qualche hanno fa, favorita dal successo di Two and a Half Men, Modern Family e The Big Bang Theory è seguita una seria dieta dimagrante che ha visto cadere ad uno ad uno la maggior parte dei tentativi di farci ridere.

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La situazione oggi è che, a parte i sopraccitati mostri sacri (TBBT su tutti, con ascolti inarrivabili che riescono a battere anche i talent popolarissimi in prime time) che però danno segni di stanchezza, non c’è tantissimo a ben vedere.
In seconda fila, molto più indietro e di qualità decisamente più dubbia abbiamo New Girl (il cui successo continua a perplimermi), 2 Broke Girls, Brooklyn Nine-Nine e pochi altri.
Per fortuna vi sono poi un paio di chicche come Community, Parks & Recreation e It’s Always Sunny in Philadelphia che però rimangono allo stato di cult e non sfondano presso il grande pubblico.

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Un discorso a parte andrebbe fatto per la tv britannica, le cui sitcom raramente hanno passato i confini d’albione con l’eccezione del gigante Ricky Gervais, che rimane di un altro pianeta, e gli sporadici remake (Shameless su tutti). Per l’Italia a parte il rimpianto Boris le cose più interessanti, o meglio quelle che non mi fanno venire voglia di ficcarmi due dita in gola e vomitare, sono di base sul web.
Qual’è il problema? Questi non sono tempi di crisi per la tv, anzi… Il pubblico dimostra di apprezzare sempre più prodotti complessi e stratificati. Eppure non è facile farlo ridere. Insomma sembra paradossalmente che la sfida delle sitcom, in mondo dove basta connettersi a Vine o Youtube per qualche risata facile, sarà sempre più complessa.
Chi guarda serie tv diviene sempre più sofisticato ed esigente, se qualche grande network non tirerà fuori dal cilindro un colpaccio alla Robinson, Friends, Seinfield o similia ci ritroveremo quindi a ridere un po’ meno davanti alla tv.

Umorismo nero e leggerezza: l'uomo dietro la Famiglia Addams

La scena televisiva americana degli anni ’60 doveva essere un’interessante crogiolo di menti tanto geniali quanto eccentriche, una di queste apparteneva al creatore dei personaggi della celeberrima famiglia Addams:Charles Addams, un uomo tanto bizzarro quanto i persoanggi che disegnava.

Fumettista di punta del New Yorker dal 1930 al 1980, Charles Addams praticamente inventò l’umorismo nero in America. I suoi fumetti trovarono la vena comica che è all’incrocio tra il bizzarro e il quotidiano, con le persone comuni che rivelano tendenze ad un cupo esotico. Nel corso della sua vita, Addams ha illustrato 68 copertine per il New Yorker e ha contribuito a più di 1300 fumetti per la rivista, che ispirarono tutti, dal fumettista Far Side di Gary Larson al regista Tim Burton. Se le storie di scrittori come Dorothy Parker, Ogden Nash, e John Cheever sono la linfa vitale del New Yorker, i disegni di Addams ne sono stati il suo spirito.

La più famosa creazione di Charles Addams, La Famiglia Addams, rifletteva i valori americani in uno specchio deformante, mostrandone la paranoia, il buio ma anche la dolcezza della vita suburbana. La Famiglia Addams ha dato vita a due serie televisive, due cartoni animati, e due film di successo e le reincarnazioni continuano ad arrivare. In questo momento, c’è un musical del cartone animato a Broadway, e Tim Burton è in procinto di dirigerne una nuova versione cinematografica. Ma per quanto raccapriccianti, eccentrici, misteriosi e inquietanti i personaggi siano, non sono nulla a confronto di Charles Addams  stesso.

Nel suo periodo di massimo splendore, Charles Addams era una celebrità, il tipo di persona che tutti volevano conoscere. Alfred Hitchcock compì un pellegrinaggio fino alla porta di casa Addams, solo per cogliere uno scorcio del personaggio nel suo habitat naturale. Le leggende urbane vogliono che il disegnatore fosse un paziente abituale dei manicomi di New York, e che preferiva che i suoi martini fossero guarnite con bulbi oculari. E mentre molte delle storie di Addams erano sicuramente esagerate, non c’è dubbio che l’uomo aveva un debole per il particolare. Invece di un tavolino da caffè standard Addams usava un tavolo di imbalsamazione dell’era della guerra civile. Possedeva anche una collezione di antiche balestre sopra il suo divano e usava la pietra tombale di una giovane ragazza (“La Piccola Sarah,di soli tre anni”) come una tavolino per i suoi cocktail.

UN INFANZIA… FELICE

Con stranezze del genere, non si sarebbe immaginato che l’artista aveva avuto un’educazione del tutto normale. Charles Addams nacque il 7 GENNAIO 1912, a Westfield, New Jersey, l’unico figlio di un venditore di pianoforti. Era un bambino sorridente che si trasformò in un ragazzo sorridente,  amato con indulgenza dai suoi genitori e ben voluto dai suoi amici e compagni di classe. “So che sarebbe più interessante, forse, se avessi una terribile infanzia, incatenato a una trave di ferro e nutrito con cibo per cani tutti i giorni,” Addams una volta disse a un intervistatore. “Sono una di quelle strane persone che effettivamente hanno avuto un’infanzia felice.”

Eppure, il fascino Addams per il macabro iniziò presto nella vita. Fin da bambino, amava visitare i cimiteri. All’età di 8 anni, fu preso dalla polizia per aver fatto irruzione in una particolarmente spaventosa villa vittoriana vicino a casa sua. E quando l’America entrò nella prima guerra mondiale, Addams cominciò a disegnare immagini del Kaiser Guglielmo II accoltellato, sparato, investito da un treno, o bollito in olio.

NEW YORK

Il destino voleva che, mentre Addams era al liceo, il suo futuro datore di lavoro cominciava ad emergere. Il New Yorker pubblicò il suo primo volume nel 1925. All’inizio si presentava come una rivista settimanale dall’umorismo sofisticato, grazie soprattutto a illustrazioni e fumetti dai disegni eleganti. I sagaci fumetti divennero ben presto il segno distintivo della rivista, e Addams capì che voleva lavorare lì dal momento in cui ne vide la prima volta una copia.

Dopo il liceo, Addams si iscrisse a diversi college in cerca di un buon programma di arte. Alla fine si ritrovò alla Grand Central School of Art, arroccata in cima al Grand Central Terminal di Manhattan. Era ancora uno studente quando vendette la sua prima vignetta al New Yorker -un disegno non firmata di un lavavetri sospeso su un grattacielo. Era il 6 febbraio 1932 e Addams si beccò un assegno di $ 7,50.

Non era abbastanza per pagare le bollette, così Addams si procurò un lavoro di ritocco di raccapriccianti foto di scene del crimine per la rivista True Detective. Non era un lavoro glamour, ma permise all’artista di affinare il mestiere e il suo stile. Usando una tecnica di delicata sfumatura dell’inchiostro, Addams scoprì l’oro fumettistico al crocevia fra il morboso e il mondano, evidenziando allo stesso tempo la magia e l’orrore della vita di tutti i giorni. Nel mondo di Addams, un uomo apre il suo paracadute per scoprire che è stato fatto a maglia da sua moglie, e due amanti si fanno coccole al chiaro di luna sulle rive di uno stagno da cui spunta una pinna di squalo. In uno delle sue più famose strisce, una folla osserva un polpo trascinare un uomo sfortunato in un tombino. Un passante dice al suo amico: “Non ci vuole molto per raggruppare una folla a New York.”

Nel 1940, Addams era diventato un habitué del New Yorker, ciò gli permise di lasciare True Detective e concentrarsi a tempo pieno sui suoi disegni. Nello stesso anno, pubblicò il fumetto che avrebbe fatto di lui uno degli artisti più pagati e più utilizzati della rivista. In esso, uno sciatore lascia dietro di sé una serie di tracce che indicano che è appena passato attraverso un albero, invece di aver girato intorno ad esso. Il New Yorker dovette far fronte a più richieste di ristampa di quella immagine di ogni altra vignetta quell’anno. Due mesi dopo “Lo Sciatore”, Addams ricevette una lettera da una psicologa dell’Illinois, che gli disse che aveva usato l’immagine per determinare l’intelligenza degli adulti mentalmente disabili. Il dottore chiedeva ai suoi pazienti perché l’immagine era divertente, e se non lo capivano, lei determinava che la loro intelligenza era inferiore a quella di un bambino di 9 anni. Nel corso degli anni successivi, “Lo Sciatore” fu imitato e plagiato inesorabilmente. La gag fu anche utilizzata sul grande schermo nel film di Gianni e Pinotto del 1943 Avventura in Montagna.

SCIUPAFEMMINE

Man mano che la fama di Charles Addams continuò a crescere anche la sua vita sociale cambiò. Sviluppò rapidamente una reputazione di uomo di mondo, era risaputo che passava le serate fino a tarda notte nei migliori bar in compagnia di belle donne. Ma nel 1942, Addams incontrò una compaesana di Westfield di nome Barbara Day. Una donna statuaria con i capelli neri e la pelle pallida, Day sembrava molto simile a Morticia Addams, la matriarca dei suoi fumetti sulla famiglia Addams. Addams aveva disegnato Morticia per la prima volta quattro anni prima, così in Barbara aveva letteralmente trovato la donna dei suoi sogni. In poco tempo, la coppia si fidanzò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nello stesso anno, Addams fu richiamato dall’esercito per prestare servizio nella seconda guerra mondiale. Fu assegnato al Corpo d’Armata Comunicazioni, il gruppo responsabile per la produzione di film e manifesti di propaganda, in cui si trovò circondato da artisti, sceneggiatori e colleghi fumettisti. Alla fine, la guerra fece ben poco per ostacolare la carriera di Addams, anzi. Intanto continuò a lavorare per il New Yorker, così come per altre riviste e agenzie pubblicitarie, trovando anche il tempo di vedere Barbara. Prima della fine della guerra, Addams e Day erano sposati, e il suo lavoro veniva mostrato al Metropolitan Museum of Art.

Addams e sua moglie cominciarono ben presto a vivere la vita glamour. Comprarono costose auto sportive, posavano per le illustrazioni dell’ Harper Bazaar e davano il tipo di feste di cui tutti parlavano. Troppe feste, forse. Dopo otto anni di matrimonio, la coppia si divise. Lei voleva i bambini, lui no. Essenzialmente lui stesso un bambino, Addams era reticente a diventare padre. Inoltre, la sua tendenza ad essere un donnaiolo non si era fermata all’altare.

Focus sulla Famiglia

Mentre il matrimonio di Addams andava spegnendosi nella vita reale, la sua striscia a fumetti sulla famiglia si stava espandendo. Morticia era entrata nel mondo nel 1938. Quattro anni più tardi, aveva ottenuto un marito, Gomez, un uomo tozzo e brutto con un naso schiacciato. Gomez era una dichiarazione politica; Addams, un devoto democratico, aveva basato il personaggio su Thomas E. Dewey futuro governatore repubblicano di New York.

La famiglia Addams aggiungeva un figlio, Pugsley, l’anno successivo, che veniva presentato nell’atto di costruire una bara per un compito in classe. La figlia Mercoledì arrivò subito dopo, presentata nel tentativo di avvelenare il fratello. L’ultimo a prendere il suo posto fu lo zio Fester, che apparve la prima volta nei panni di un sinistro uomo calvo tra il pubblico di una sala cinematografica, Fester rideva mentre tutti intorno a lui piangevano. Zio Fester, Addams poi rivelò, fu il personaggio al quale più l’autore si sentiva legato.

Sulla pagina, i personaggi della famiglia Addams erano nettamente peggiori rispetto ai loro omologhi televisivi. In un disegno di Natale del  New Yorker del 1946, la famiglia si vede sul tetto del suo palazzo vittoriano fatiscente, intenta a rovesciare una pentola di olio bollente sui gruppi di cantanti di inni natalizi di sotto. I lettori amarono così tanto la vignetta che questa fu stampata su delle cartoline di Natale.

Nel 1950, La Famiglia Addams era diventata così popolare che aveva generato una linea di merchandising, tra cui sciarpe di seta e stoviglie. Ma stranamente, i personaggi non ebbero nomi fino al 1963, quando la serie fu trasformata in uno show televisivo. Nella fretta di nominarli, Addams stava per chiamare Pugsley, Pubert (“Pubertà”), ma all’ultimo momento decise che il nome era troppo rozzo.

La transizione de La famiglia Addams in TV non fu facile. In realtà, stava per non accadere affatto a causa della seconda moglie di Addams, Barbara ‘Barb’. Addams e Barb si erano sposati nel 1954, e il matrimonio era stato un disastro fin dall’inizio. L’attrazione era chiara: Barb sembrava ancora più simile a Morticia di Barbara Day. (Aveva anche fatto una plastica al naso per assomigliare al personaggio). Ma si trattava di una donna instabile e aggressiva che una volta aggredì il marito con una lancia africana. Era anche un avvocato e utilizzò le sue competenze giuridiche per costringere Addams a cedere i diritti di molti dei suoi fumetti. La coppia divorziò due anni dopo il loro matrimonio, Barb aveva però il controllo completo dei diritti della famiglia Addams e mise in fase di stallo la produzione nello show televisivo fino a quando i produttori concordarono di darle più soldi.

Quando la serie finalmente debuttò sulla ABC nel 1964, Charles Addams non era fra i fan. Amava la sigla, ma si lamentava che la famiglia non era “malvagia neanche la metà” dei suoi personaggi originali. Eppure, il pubblico americano la adorò, e il programma portò un nuovo livello di fama e fortuna a Addams. Generando altro merchandise, tra cui gomma da masticare e giochi da tavolo.

Nonostante il suo successo commerciale, La famiglia Addams fu improvvisamente cancellata nel 1966. Improvvisamente, Addams si trovò senza una parte significativa del suo reddito. In quel periodo Addams usciva con Jackie Kennedy che però lo lasciò proprio con l’interruzione dello show. A peggiorare le cose, La famiglia Addams era anche sparita dalle pagine del New Yorker. Gli editori avevano deciso che una volta che la famiglia era in televisione, non poteva più essere in stampa. Addams mantenne Gomez e compagnia vivi attraverso varie campagne pubblicitarie, ma come un biografo ha affermato, rimase profondamente amareggiato nei confronti della rivista per l’aver rinnegato la sua famiglia.

LA MORTE

 

 

 

 

 

 

 

Fino agli anni ’80, Addams continuò a guadagnare come artista freelance, vendendo il suo lavoro per riviste e gallerie. Anche dopo cinque decenni di fumetti la sua mano non dava segno di rallentamento. Ancora amava, pur non guidandole più, le macchine veloci e ancora amava la compagnia delle belle donne. Nel 1980 sposò la sua fidanzata di lunga data, Marilyn “Tee” Miller. Il matrimonio si tenne in un cimitero degli animali, dove la sposa era vestita di nero, così come le damigelle.

Charles Addams morì il 29 settembre del 1988, all’età di 76 per un attacco di cuore mentre era seduto nella sua auto parcheggiata. Sua moglie ha detto al New York Times, “E ‘sempre stato un appassionato di auto, quindi è stato un bel modo di andarsene.”

Naturalmente, questo non fu certo la fine per Addams. I suoi cartoni animati vivono, in gran parte perché attingono a qualcosa di profondo nella psiche americana. Le persone si identificavano e ancora lo fanno al fascino di Addams per il lato oscuro dell’umanità. Come ha scritto la sua biografa Linda Davis, “I suoi cartoni animati, a differenza di quelli di tanti altri fumettisti, erano per la maggior parte senza tempo e trattavano temi universali. Sono ancora divertenti oggi; li capiamo ancora oggi. “Infatti, Addams si ispirò alle sue paure- paura del matrimonio, i timori sull’alienazione, paura della morte, per mostrarci che nell lato oscuro della vita, c’è la luce, o per lo meno, la leggerezza.

Tradotto da: Light Heart, Dark Humor…

Arriva il sequel di Vita da Strega

NBC, a detta del sito Deadline, avrebbe ordinato un remake, anzi un sequel, della celeberrima sitcom della ABC Vita da Strega. La NBC si è aggiudicata, in una gara all’ultimo dollaro con la ABC, il  diritto al pilota che sarà scritto da Abby KohnMarc Silverstein, che hanno scritto Mai Stata Baciata, La memoria del Cuore e La Verità e che non gli piaci abbastanza.

La sitcom si svolgerà ai giorni nostri, e la protagonista della nuova Vita da Strega sarà la nipote di Samantha (la figlia di Tabatha), una ventenne che usa i suoi poteri da sempre per regalarsi una vita più figa ma che non riesce ad ottenere… indovina un po’, il vero amore!

50 anni dopo Vita da Strega, una sitcom che aveva portato la voglia di libertà e emancipazione delle donne americane sul piccolo schermo, tanto da far pronunciare ad Endora (la madre di Samantha e indimenticatissima Agnes Moorhead) concetti e frasi presi pari pari da lavori di femministe d’avanguardia come Betty Friedan, la loro nipotina è semplicemente alle prese con le pene d’amore. Speriamo ovviamente in un contesto più strutturato e complesso di questo, ma il cv degli sceneggiatori non lascia ben sperare.

Nella sitcom originaria, le due streghe, pur in un contesto familiare suburbano middle class, assumevano spesso ruoli attivi, se non aggressivi, durante gli episodi della sitcom, capovolgendo completamente gli stereotipi femminili della tv dell’epoca. Adesso la loro nipotina e bisnipotina sembra alla ricerca una sola cosa… il Principe Azzurro. O tempora, O mores…

Transparent: il futuro è transgender

Transparent è la serie originale della Amazon TV che sta avendo il maggior successo al momento. Si tratta di una dark comedy diretta da Jill Soloway di 10 puntate e già rinnovata per una seconda stagione.

Il concetto centrale di Transparent è molto ambizioso: il padre/patriarca di una famiglia americana, interpretato da Jeffry Tambor (Arrested Development), decide d’un tratto di diventare donna. Il passaggio da Mort a Maura sconvolge i suoi tre figli , interpretati da Gaby Hoffman, Jay Duplass e Amy Landecker, si ritrovano sconvolti da questa scelta che però li costringerà, a loro volta, a cambiare la loro vita e prendere decisioni che avevano in qualche modo sempre finto di non dover prendere.

Transparent è ovviamente uno show ‘gender bending’, ossia una di quelle serie che portano lo spettatore a dover riflettere sulle proprie posizione in merito al sesso, al genere e alle relazioni. Ma è anche una buona commedia con molti spunti seri e drammatici che sta avendo un meritato successo sulla piattaforma Amazon.

Come (e se) ci sarà possibile vederla è un mistero vista la totale impreparazione delle nostre infrastrutture rispetto ad una piattaforma digitale.

Springsteen reciterà nella serie tv Lilyhammer

Lilyhammer è uno di quei piccoli gioiellini di cui si sente parlare ma che non hanno un grande ascolto. Eppure questa serie comica interpretata dal grande Steven Van Zandt è una delle più originali e godibili in circolazione.
Lilyhammer, in due parole, è la storia di questo ex mafioso italoamericano che, pentitosi, viene spedito nella piccola e apparentemente bucolica città di Lilyhammer in Norvegia. Ovviamente lo scontro e incontro di culture e ambienti così diversi diventa motore delle storie comico/noir del telefilm.
Per la terza stagione dello show prodotto da Netflix e dalla tv norvegese NRK1 , il caro Steven Van Zandt porterà in dote due suoi vecchi amici.
Il primo è Tony Sirico, con cui Van Zandt ha lavorato per molti anni nella serie tv I Soprano (era Pauley se ve ne ricordate, il più anziano della cricca di Tony Soprano), l’altro amico è il suo compagno di palco Bruce Springsteen, perché forse non ve lo ricordate ma Steven Van Zandt, in arte anche Little Steven è uno dei cuori pulsanti della mitica E-Street Band che accompagna spesso Springsteen in giro per il mondo. Sirico farà la parte di un prete, mentre Springsteen sarà il proprietario di un’agenzia funebre. Rimanete sintonizzati e speriamo di vedere Lilyhammer anche in italiano.

Foto: Deadline

Una sitcom scritta dal cantante dei Weezer per la Fox

Be li ricordate i Weezer? Gruppo americano che ha goduto di un certo successo negli anni ’90? No? Forse in Italia non hanno avuto un successo enorme, ma in America sono molto amati dalle generazioni che in quel periodo seguivano le radio universitarie e magari consideravano il grunge troppo pesante ed hanno venduto 20 milioni di album.
Adesso il loro leader Rivers Cuomo ha ricevuto un ordine di un episodio pilota dalla Fox per una comedy monocamera ispirata ad un suo progetto autobiografico intitolato DeTour.
DeTour è ispirato infatti sulla vita di Cuomo che, all’apice del successo con i Weezer, decise di prendersi 3 anni di pausa per tornare al college e laurearsi. Proprio al college il chitarrista conobbe la sua futura moglie, fu respinto dal coro dell’università, conobbe nuovi amici e si laureò con la lode.
DeTour vuole narrare, in maniera magari un po’ più patinata, questo viaggio di una rockstar trentenne incapace di razionalizzare il suo successo e spaventato dall’idea di non saperlo ripetere. Intanto però si rende conto che ha perso molti anni della sua vita impegnandosi a diventare una rock star e perdendosi quello che di solito i suoi coetanei facevano normalmente.
Rivers Cuomo collaborerà con il creatore di Psych Steve Franks per questo pilota.

Ritorna Ralph Supermaxieroe

Il sito Deadline ha annunciato il remake della serie cult Ralph Supermaxieroe Per la Fox Television. Nel progetto sono coinvolti sceneggiatore e regista del Lego Movie Phil Lord and Chris Miller e la 20th Century Fox TV. Lo rshowrunner sarà Rodney Rothman (22 Jump Street).
Ralph Supermaxieroe, in originale the Greatest American Hero, fu una serie che durò solo due stagioni tra il 1981 e il 1982, ma divenne amatissima dal pubblico. Parla di un mite insegnante che riceve dagli extraterrestri un costume che gli dona superpoteri. Il goffo insegnante comincia ad usarlo, ma ha difficoltà a gestire questi poteri. Fra una gaffe e un incidente riesce comunque a fare il suo dovere di supereroe buono e far trionfare la giustizia ( quasi sempre).

Nella versione moderna probabilmente non ci saranno gli alieni ma il resto, compreso i personaggi interpretati da Robert Culp e Connie Sellecca, rispettivamente un agente FBI che deve gestire/aiutare Ralph e la donna di cui Ralph è invaghito, sarà pressoché identico. Non è la prima volta che si tenta di riportare lo show cult in vita, ma questa sembra la volta buona.

Nano Nano Robin Williams!

Si è spento poche ore fa Robin Williams, un attore che ha fatto la storia della televisione e del grande schermo. Le rete è piena di post e articoli che lo commemorano più degnamente di quanto possiamo fare noi, ma ci sembra giusto ricordare gli inizi della sua carriera che contengono già condensate tutte le caratteristiche che imporranno Williams all’attenzione mondiale.

Apparso per la prima volta nel ventiduesimo episodio della quinta stagione di Happy Days, dal titolo Fantascienza anche per Fonzie (28 febbraio 1978), l’alieno Mork aveva talmente impressionato che di fatti si decide di affidargli una serie tutta sua: Mork & Mindy, che è tecnicamente uno spinoff di Happy Days. La forte fisicità di Williams e il suo stile comico a metà fra mimo, slapstick e improvvisazione costringe i produttori della sitcom ad aggiungere una quarta telecamera per ‘contenere’ l’esplosività dell’attore.
Il grande successo di Mork & Mindy porta lo standard delle sitcom ad adeguarsi quindi dalle tre telecamere tradizionali a quattro telecamere. La leggenda vuole che Williams ottenne la parte perchè al provino si sedette a testa in giù, dimostrando chiaramente ai produttori di essere l’unico alieno del casting.
Il successo di Robin Williams fu immediato in Italia, la serie Mork & Mindy, che andò in onda dal 79 all’84 era amata da tutti i ragazzini dell’epoca. Robin Williams divenne poi un apprezzato attore cinematografico, vincendo anche un Oscar per Will Hunting, e solo recentemente era tornato alla recitazione in TV con The Crazy Ones, insieme a Sarah Michelle Gellar.
Anche io ero fra quei ragazzini che andava alle medie e vedeva il pomeriggio Mork & Mindy e sono un po’ rimasto affezionato a quel personaggio, confesso che dopo Williams non mi è piaciuto poi così tanto come attore, non posso quindi che ricordarlo e salutarlo nell’unica maniera possibile per me: Nano Nano!